venerdì 28 aprile 2017

Maria Antonietta cap. VI

Maria Antonietta Cap VI


Maria Antonietta


Antonietta era in Francia da appena tre mesi, ma già intuiva che la corte si era schierata contro di lei. Era la moglie del delfino soltanto di nnome; la sua governante, la contessa di Noailles, la disapprovava; e il re, pur essendo, innegabilmente affascinato da lei, era troppo indaffarato con la sua favorita Madame Du Barry, per deidicarle molta attenzione.

Nata illegittima, figlia di una povera sarta che si era data alla prostituzione per arrotondare i suoi magri guadagni, Jeanne Bécu aveva seguito l'esempio materno e aveva finito col farsi notare da Luigi XV quando era divenuta l'amante di un certo Jean Du Barry. Graziosa senza essere una grande bellezza, né una donna particoalrmente attraente, la Du Barry era nondimeno dotata, grazie all'espressione apertamente invitante dei suoi occhi azzurri e notevolmente spaziati fra loro, di un grande fascino sensuale. Il re ne era stato letteralmente stregato, al punto che aveva subito pensato di introdurre Jeanne a corte non come una delle tante donne del suo bordello privato, il Parc-aux-Cerfs, ma come amante ufficiale. A tale scopo aveva combinato un matrimonio tra Jeanne e il fratello di Jean Du Barry, Guillaume, che era erede del titolo di conte Du Barry. Nella sua nuova poszione di contessa Du Barry, Jeanne era stata presentata a corte nell'aprile del 1769, e aveva abbagluato perfino i sazi e smaliziati cortigiani di Versailles con i suoi abiti inghirlandati di diamanti disposti come fiori. Il re l'aveva letteralmente ricoperta di gemme abbaglianti, ed essa le portava ovunque, anche sui tacchi delle scarpe.

Non sarebbero bastati tutti i diamanti del mondo a fare di una comune prostituta una raffinata gentildonna. Ma il re subiva completamente il fascino di Jeanne, ed era questo che contava. Altri potevano anche deridere la pronuncia affettatamente lesa di Madame Du Barry, o alzare il sopracciglio quando essa insultava volgarmente le sue cameriere o criticarla perché non si incipriava i capelli e preferiva gli abiti semplici alla grande toilette che era di rigore alla presenza del re; ma Luigi XV si rifiutare di ascoltarre anche una sola parola contro di lei. <<Mi ha donato piaceri di cui ignoravo perfino l'esistenza>>, confidò una volta al maresciallo de Richelieu, un attempato libertino come lui; e Richelieu non ebbe dubi su ciò che intendeva dire il suo sovrano. 


Luigi XV


Il re non aveva indugiato a regalare alla contessa Du Barry, il suo piccolo castello di Louveciennes, uno squisito palazzo in miniatura con stanze dalle pareti di marmo e dai soffitti affrescati, e una grande sala da pranzo bianca e oro ove i lampadari di cristallo, scintillavano alla luce del caminetto. Le decorazioni, di uno sforzo abbagliante, erano straordinariamente costose: arazzi di eccellente fattura, vetri e porcellane di eccezionale qualità, bronzi, mobili rivestiti all'interno di raso merlettato. I visitatori del castello di Louveciennes restavano abbagliati dalla finezza dei materiali, accessibili solo al tesoro reale, con cui era fatto ogni arredo, fino alle maniglie delle porte; e non mancavano di notare il gran numero di domestici, tutti abbigliati con sontuose livree cremisi o quelle chiare, addetti al servizio dell'amante del re. Anche a Versailles la contessa aveva alle sue dipendenze un personale numeroso, fra cui spiccava, per il colore della pelle, un paggio venuto dal Bengala, Zamor, il quale la seguiva dappertutto col suo vestito di velluto rosa, un turbante bianco sulla testa e una minuscola spada a fianco. 


Madame Du Barry


A chi le decantava l'avvenenza di Antonietta, Madame Du Barry rispondeva con disprezzo. <<Non vedo nulla di attraente>>, diceva, <<nei suoi capelli rossi, nelle sue labbra turgide, nella sua carnagione chiara e nei suoi occhi senza ciglia. Se costei, che dite tanto bella, non venisse da casa d'Austria, attrattive del genere non sarebbero oggetto di ammirazione>>. Antonietta rocambiava gli insulti, rincaranndo anzi la dose. Detestava essere obbligata, a sedersi alla stessa tavola della volgare amante nonno acquisito e dover trascorrere del tempo con lei ai tavoli da gioco. <<E' l'essere più stupido e impertinente che si possa immaginare>>, scrisse una volta a sua madre <<ha giocato con noi a carte una sera a Marly; due volte si è seduta accanto a me, ma non mi ha parlato e io non ho tentato di attaccare discorso con lei. Quando è stato necessario, però, le ho parlato>>.

Una sera la contessa di Grammont che faceva parte  dell'entourage di Antonietta, insultò Madame Du Barry, rifiutandosi si cederle il posto durante uno spettacolo teatrale. La Du Barry rifiutandosi di cederle il posto durante uno spettacolo teatrale. La Du Barry andò a lamentarsi col re e la contessa, fu allontantata dalla corte. Su consiglio di Mercy, Antonietta andò a sua volta dal sovrano e sia pure con cortesia, fece valere le sue prerogative. Il re, disse, in sostanza, non avrebbe dovuto allontanre la contessa de Grammont da Versailles senza prima informare lei, Antonietta, della sua disapprovazione per il modo in cui la nobildonna si era comportata. Luigi XV, imbarazzato per l'incidente e diviso tra la cieca infatuazione per l'amante e l'affetto per la moglie del nipote, attribuì la responsabilità della decisione al duca di Vrillière, ministro della real casa, e finì per autorizzare la contessa a tornare a Versailles. 


Luigi XVI

Attraverso sua cognata la contessa di Grammont era parente del più autorevole ministro del re, il duca di Choiseul, e questo era nemico giurato di Madame Du Barry. Era anche il maggiore artefice del matrimonio del delfino con un'arciduchessa di casa d'Asburgo, un matrimonio che fino a quel momento non aveva dato frutto, e che molti dicevano non fosse neanche un matrimonio. Il fiasco di Antonietta come moglie, era anche un fiasco di Choiseul, come l'inimicizia del duca nei confronti dell'amore del sovrano era stata fatta propria da Antonietta.

Choiseul aveva promesso l'alleanza della Francia con l'Austria allo scopo di impedire che Maria Teresa facesse causa comune con la Russia. Un'alleanza del genere avrebbe minacciato la stabilità diplomatica del continente europeo; peggio, avrebbe potuto portare alla guerra. Eppure, nonostante gli sforzi di Choiseul, era in corso un riavvicinamento fra l'Austria e la Prussia (il figlio maggiore di Maria Teresa, Giuseppe, che aveva sempre caparbiamente considerato Federico il Grande il suo eroe, aveva cominciato a incontrarsi personalmente con lui per progettare la spartizione della Polonia) e anche i legaami tra Austria e Russia si stavano rafforzando. 

Qui avevamo un ruolo importante considerazioni di politica interna, perché anche in seno alla famiglia reale e c'erano fazioni, rivalità e lagnanze. Oltre all'antoagonismo tra il delfino e i suoi fratelli minori - in particolare il precoce Stanislao Saverio conte di Provenza, che era tanto arrogante, spiritoso e sofisticato quanto Luigi Augusto era schivo, mldestro e incolto - c'era un fortissimo contrasto tra il re Luigi e le sue tre figlie non sposate che vivevano a corte. (La quarta figlia nubile, Luisa, si era recentemente fatta monaca e riisiedeva a Saint-Denis: la sua decisione, dicono alcuni, era dovuta al desiderio di pregare ed emandare i peccati del padre). Tutte e tre le donne erano vicine alla quarantina, ma ai visitatori davano l'impressione di essere molto vecchhie. 

Delle tre, la corpulenta Vittoria era la più gredevole, benché soffrisse terribilmente per le sue crisi di nervi, conseguenza di terrori infantili: da piccola era stata chiusa a chiave nel tenebroso sotterraneo nell'abbbazia di Fontévrault, ove venivano seppellite le monache, e costretta a far penitenza. Nei pressi del sotterraneo era incarcerato un pazzo, e le sue urla farneticanti unitamente agli immaginati orrori della tomba, avevano lasciato in Vittoria segni incancellabili. Essa era tuttavia <<buona, di carattere dolce e affabile>>, stando a quando riferisce Madame Campan, la vivace cronista della corte di Francia il cui primo incarico era stato quello di lettrice per le figlie del re. Benevola e sorridente, Vittoria amava la buona cucina e la comodità di un morbido divano accanto al caminetto. 

Sofia, una donna brutta in modo ripugnante, la cui altezzosità mascherava una profonda diffidenza, era più dura. Leggeva parecchio, ma sempre da solaa: secondo Madame Campan <<la presenza di una lettrice l'aavrebbe sconcertata moltissimo>>. Tutti gli estranei invariabilmente, sconcertavano Sofia che percorreva sempre in gran fretta gli affollati corridoi del palazzo per evitare un contatto con essi. quando c'era un temporale però, in lei il terrore aveva la meglio sulla timidezza, inducendola a correre per andare a rifugiarsi tra le braccia di chiunque fosse a portata, tanto grande era la paura che le facevano i lampi e i tuoni.


La terza sorella, Adelaide, delle tre era quella dotata di maggiore personalità e aggressività. Fin da bambina aveva dominato i suoi insegnanti, impuntandosi su ogni cosa e insistendo per fare a modo suo con un'ostinazione che, col pssare degli anni, era divenuta sempre maggiore. Adelaide si era apertamente opposta la progetto di un matrimonio del delfino con un'arciduchessa di casa d'Asburgo, e la sua opposizione non era cessata dopo che aveva conosciuto Antonietta.  

Adelaide era una politicante e, in quanto politicante, si rendeva conto che Antonietta avrebbe potuto essere utile. Represse quindi l'antipatia che provava per lei e coltivò la sua amicizia e la sua amicizia e la sua fiducia anche se da qualche punto di vista, mantenne una tacita rivalità in lei. Da quando era morta la regina Maria Leczinka, i convegni serali si erano tenuti nell'appartamento di Adelaide; e quando Antonietta subentrò a lei come ospite protocollare di quei convegni, Adelaide si rifiutò di parteciparvi, continuando tuttavia a intrattenere al gioco nelle sue stanze qualche fedelissimo.

L'amante di Luigi XV era particolarmente antipatica ad Antonietta. Pur essendo capace di una cortesia e di una generosità illimitate, verso i suoi diretti dipendenti e altre persone ordinarie - una cortesia e una generosità di cui aveva dato ripetutamente prova nei primi mesi trascorsi alla corte di Francia - la delfina non vedeva con simpatia le persone di bassa estrazione e di nessuna edicazione che cercavano di spadroneggiare su chi era di origine meno ignobile della loro. Lei, l'arciduchessa Antonietta, era figlia di un'imperatrice; Jeanne Bècu era figlia di una prostituta di Vaucouleurs. Lei, un giorno, sarebbe divenuta la regina di Francia, e quel giorno, se non prima, la contessa Du Barry si sarebbe trovata improvvisamente priva di amici, di influenza e di rendite. 

Antonietta, la mattina si alzava alle nove e mezzo o alle dieci e, dopo essersi vestita, aver detto le preghiere e fatto colazione, andava negli appartamenti, delle zie ove spesso capitava anche il re. Ci restava fino alle undici, l'ora del suo appuntamento quotidiano con il parrucchiere. Sistemata l'acconciatura dei capelli, assolveva agli obblighi del pubblico cerimoniale: alla presenza di diversi spettatori interessati si lavava le mani e si applicava un pò di trucco sulle guance, dopo di che, sempre pubblicamente, le cameriere procedevano alla sua vestizione. A mezzogiorno veniva celebrata la messa, alla quale Antonietta assisteva in compagnia del re, del delfino e delle sue zie. Dopo la messa Antonietta e Luigi Augusto pranzavano - ancora una volta in pubblico m assai rapidamente - e successivamente, si trasferivano nell'appartamento del delfino; se questi era occupato (ed era occupato quasi sempre, di solito per una partita di caccia) Antonietta andava invece nelle proprie stanze ove, se bisognava dire la verità, aveva pochissimo da fare, anche se di tanto in tanto si sforzava di leggere o di lavorare all'uncinetto. 

Alle tre del pomeriggio Antonietta si recava nuovamente negli appartementi delle zie, ove di solito andava anche il re: quindi alle quattro, la delfina ritornava nelle sue stanze, ove andava a trovarla il suo confessore l'abate Vermond. Alle cinque Antonietta, aveva lezione col maestro di musica o con l'insegnante di canto. Alle sei e mezzo - accompagnata, se c'era, dal delfino - andava ancora una volta nelle stanze di Adelaide, Vittoria e Sofia. dalle sette alle nove presiedeva ai tavolini da gioco, a meno che ci fosse bel tempo, nel qual caso usciva per fare una passeggiata a piedi. La cena era alle nove, e quando il re non era presente (spesso cenava con Madame Du Barry e una ristretta cerchia informale di intimi) le zie erano ospiti di Antoonietta e del delfino. Quando il re era presente, Antonietta e Luigi Augusto ccenavano negli appartamenti delle zie, ove un pò prima delle undici le raggiungeva il sovrano. Mentre attendeva quest'ultimo, Antonietta era spesso colta dal sonno e si appisolava su un grande sofà. 

Per un pò di compagnia Antonietta poteva contare solamente sull'impacciato consorte - il quale era particolarmente a disagio in presenza del nonno Luigi XV, che con Antonietta era garbato ma, quando non fissava lo sguardo vacuo il lontananza, stuzzicava e tormentava le zie e il delfino - e su Adelaide, Vittoria e Sofia, che spettegolavano su Madame Du Barry e aizzavano la delfina a insultarla. Facevano anche indiscreti sondaggi per spremere notizie di carattere molto personale. Il delfino, era andato nella sua camera da letto la sera prima? Adelaide aveva fatto una chiacchierata con lui esortandolo ad avere coraggio e a comportarsi da uomo. La predica aveva avuto qualche effetto? Sconcertata e ansiosa Antonietta doveva ammettere che il delfino non era andato nel suo letto, nonostante avesse ripetutamente promesso di farlo. Nemmeno l'intervento di Luigi XV aveva avuto effetto. 

Il conte di Provenza era findanzato, e il matrimonio era già fissato per il mese di maggio del 1771. La futura sposa, Maria Giuseppina di Savoia, avrebbe potuto dare alla Francia un erede al trono, se Antonietta non fosse stata in grado di farlo, E, in ogni caso il conte di Provenza sarebbe stato un sovrano più presentabile di quanto sarebbe mai riuscito a essere il delfino Luigi Augusto. 
Poco prima di Natale del 1770 Antonietta perse il suo alleato politico più potente. Il duca Choiseul fu allontanato dalla corte, esonerato dalle sue responsabilità ministeriali ed esiliato nella sua proprietà. Madame Du Barry e la sua fazione avevano trionfato uno dei membri di questa fazione, il duca d'Auguillon, prese il posto di Choiseul come ministro degli Esteri. Altrettanto significativo era il fatto che la contessa Du Barry si fosse ora trasferita in un nuovo appartamento del palazzo di Versailles, una serie di stanze sontuosamente decorate, collegate mediate una rampa di scale con l'apartamento del sovrano. Quelle stanze erano diventate la sede informale del governo, il ruolo ove il re si incontrava con i suoi ministri e con i suoi ambasciatori, e ove si svolgeva la maggiior parte delle più riservate attività di corte. Abbigliata come una regina, e circondata da tutti i segni dello splendore regale, Madame Du Barry, presiedeva tutte queste riunioni e attività. E il sovrano, a quanto pareva raramente era lontano da lei, anzi la voleva sempre accanto a sé, seduta sul bracciolo della sua poltrona, mentre egli, leggeva lettere o discuteva questioni di stato. Le consentiva perfino di partecipare alle sedute del consiglio della real casa, ove, come sceisse Madame Campan, la Du Barry si comportava come una ragazzina annoiata e distraeva il sovrano con le sue stupide chiacchiere. 

Luigi XV convocò Mercy nel salotto della sua amante per fargli conoscere la sua volontà.
<<Fino a questo momento siete stato l'ambasciatore dell'imperatrice>>, disse il sovrano con untuosa cortesia. <<Oravi chiedo di farvi mio ambasciatore dell'imperatrice>>, disse il sovrano con untuosa cortesia. <<Ora vi chiedo di farvi mio ambasciatore, almeno per breve tempo. Io amo profondamente Madame la Douphine. La considero incanttevole, ma siccome è piena di vitalità e ha un marito che non è in grado di guidarla, non può evitare le trappole che le vengono tese dagli intrighi di corte>>.
Il re non fece menzione di Adelaide, ma l'implicazione era chiara. Antonietta, insistette, doveva trattare con cortesia ogni persona presentata a corte. Madame Du Barry era tra le persone presentate a corte, perciò Antonietta le era debitrice di un certo riconoscimento, per quanto piccolo. Se le avesse parlato anche solo una volta, questo sarebbe stato sufficiente. Ma deveva parlarle.

Adelaide, un tempo vigorosa sostenitrice di Choiseul, divenne una delle prime a schierarsi contro di lui nel momento stesso in cui egli cadde in disgrazia. Mercy, inoltre notò che con l'inizio del nuovo anno tutte e tre le figlie del re orientarono le vele nella direzione del vento che soffiava più forte, facendo piccoli favori a Madame Du Barry, astenendosi dal fare commenti caustici sul suo conto e, contemporaneamente, sollecitando Antonietta a trattarla con malagrazia e a giudicarla duramente. Si servivano di Antonietta a parere di Mercy, <<come strumento di un odio che non osavano confessare>>.

<<Ti giuro>>, scrisse l'imperatrice, nel luglio del 1770, a che non ho ricevuto un sola delle tue care lettere senaaz che mi venissero le lacrimme agli occhi...Desidero ardentemente di poter vedere, almeno per un istante, la mia cara, carissima famiglia.>> Il tepore della vita familiare a Vienna era passato per sempre: ne aveva preso il posto il gelo dei costanti sospettie degli intrighi. A Versailles non c'erano porti sicuri, non c'erano luogi ove Antonietta potesse rifugiarsi per sentirsi libera da sguardi indiscreti e da sussurri. Il re, Madame Du Barry, Mercy avevano spie in ogni angolo buio, chhe osservavano e ascoltavano; ogni buco di chiave sembrava ricordare la sorveglianza a cui la delfina era sottoposta.

Neanche nel suo appartamento si sentiva al sicuro, e temeva che i suoi nemici disponessero di chiavi universali e le usassero per entrarvi e uscirne a loro piacimento, e anche per aprire la sua scrivania a leggere la sua corrispondenza. Confessò a Vermond di avere immaginato che le chiavi le fossero sotratte di tasca nottetempo; e senza quelle chiavi, in particolare quella datele da Adelaide perché lei potesse andare e venire nell'appartamento della zia quando voleva, sarebbe stata prigioniera del suo entourage. Anzi anche restando in possesso delle chiavi essa non aveva alcuna libertà, vincolata com'era dell'etichetta, dalle usanze quotidiane di corte, e dal labirinto di corridoi del palazzo, corridoi che, mai davvero luminosi e accoglienti, cominciavano ora a sembrarle tetramente bui. 

https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath
https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://twitter.com/MadVrath
https://it.pinterest.com/madamevrath/
https://vk.com/madamevrath
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/