mercoledì 23 agosto 2017

La Rivoluzione Francese





La rivoluzione francese, un disastro evitabile se, nonostante la mossa astuta della costruzione della reggia di Versailles da parte di Luigi XIV, Luigi XV avesse tenuto a bada i suoi bollenti spiriti, orientando la sua attenzione sulla preparazione al governo della nazione del suo successore, come Maria Teresa d'Austria tanto assorbita dal suo impero, ha trascurato di educare sua figlia Maria Antonietta ad essere regina. Non potranno mai esserci uguaglianza, fraternità e libertà a meno che che ogni persona, faccia proprio il concetto di essere nel mezzo, tra cielo e terra e che per mantenere questo equilibrio, ogni azione deve essere compiuta con l'equilibrio del cuore.



Madame Vrath

martedì 15 agosto 2017

Dracula. Un principe e i suoi figli. Il trattato di pace di Murad II. Il secondo matrimonio di Vlad Dracul. La campagna di Murad II in Transilvania

Un principe e i suoi figli (1436-1448)


Murad II

Il trattato di pace di Murad II

Vlad Dracul si ritrovò fin da subito ad affrontare un'incursione ottomana accompagnata da vari saccheggi, distruzioni e dalla cultura <<di un'innumerevole moltitudine di persone>> che furono vendute  come schiavi sui mercati di Adrianopoli. Il 17 novembre 1436 a Costantinopoli, ancora bizantina, si veniva a sapere che Vlad Dracul pagava un tributo ai Turchi con i quali aveva dovuto concludere un trattato di pace. Con questo trattato, il voivoda s'impegnava a provare ogni anno di persona il kharaatch al sultano e, presumibilmente, a guidare e ad accompagnare gli eserciti ottomani nelle loro spedizioni in Transilvania. Questo il prezzo da pagare per mantenere la pace con il potente vicino, la cui forza militare e soprattutto la rapidità di movimento erano senza confronto. Vlad Dracul, da buon realpolitiker, conosceva perfettamene i richi cui andava incontro perché Sigismondo di Lussemburgo, prima del suo incoronamento imperiale a Roma nel 1433, aveva giurato al papa Eugenio IV che non avrebbe mai conosciuto alleanze né trattati di pace con i turchi o con gli <<scismatici>> (ortodossi).

Vlad Dracul si affrettò a dare una dimostrazione di buona volontà ai cittadini di Brasov rinnovando a due riprese - gennaaio e agosto 1437 - i loro privilegi cmmerciali con la Valacchia. Manifestò anche l'intenzione di spostare la Zecca, della quale restava comunque padrone di Sighisoara a Brasov affinché gli abitanti di questa città beneficiassero dellle conseguenze, ma le proteste indignate degli abitanti di Sighisoara lo dissuasero.

Tra l'aprile del 1437 e il febbraio del 1438, una terribile rivoltaa contdina scosse la Transilvania del nord occidentale. I servi  della gleba romeni e ungheresi affrontarono le truppe nobiliari e lo sgominavano grazie alla tattica di guerra degli Hussiti adottata dai rivoltosi. La causa immediata dello scontento era di ordine finanziario e monetario: il vescovo Giorgio Lepes, petendeva di incassare gli arretrati della decima ecclesiastica della nuova moneta anziché nella vecchia che aveva un corso nettamente inferiore (10 per cento del valore della nuova). La vecchia moneta era stata ritirata dalla circolazione e dichiarata priva di valore dalle autorità che minacciavano i ribelli di scomunica. La guerrà durò tutto l'anno ed ebbe come conseguenza la creazione di una lega nobiliare chiamata unione delle tre nazioni (Unio trium nationum: i nobili ungheresi, sassoni e szekely), la quale proibì ai servi della gleba di possedere armi e di partecipare alla guerra.

Vlad Dracul decise comunque di rispettare gli impegni presi con Murad II, il quale nella primavera del 1437, era in guerra contro l'emiro turco della Karamania, in Asia minore. Un suo contemporaneo, lo storico bizantino Ducas, afferma nella sua cronaca che Dragulios, voivoda della Valacchia.
E' arrivato passando gli stretti e ha incontrato il sultano Murad a Brasov. E prosternandosi, ha fatto atto di sottomissione e gli ha promesso che, quando Murad sarebbe passato in Ungheria, gli avrebbe concesso il passaggio (attraverso il suo paese) e avrebbe marciato davanti a lui fino alle frontiere della Germania e della Russia.

La Valacchia da sola non poteva opporsi agli Ottomani che con le loro incursioni rischiavano di destabilizzare tutta la vita economica e sociale del paese. La Siberia, anch'essa vassalla dell'Ungheria, si era parimenti messa sotto la protezione dei Turchi e del despota Giorgio Brankovic (1427-1456), che aveva perso metà del suo paese, aveva dato la figlia Mara in sposa a Murad II per salvarne il rimanente (1433). La rivolta contadini che aveva infiammato la Transilvania sommata all'incapacità del vecchio imperatore - sarebbe morto il 9 settembre 1437 - di difendere i confini meridionali dell'Ungheria e della Transilvania in maniera efficace erano tutti argomenti che deponevano a favore del rispetto dell'accordo con gli Ottomani. L'assenza del trattato di pace con il sultano avrebbe anche significato la chiusura della frontiera del Danubioe l'impossibilità per i mercanti valacchi e transilvani di godere dell'enorme potenziale del mercato interno ottomano. La pace con i Turchi, inoltre, era nell'interesse dei Sassoni della Transilvania, i quali potevano ormai solo in questo modo ssmerciare le loro stoffe di Fiandra, di Colonia e di Boemia e comprare il pepe, lo zafferano, il cotone e altri prodotti azeindali quali i tessuti di seta e di pelo di cammello.

Asserragliate nelle loro piazzeforti sul Danubio nello specifico a Vidin, Turnu e Giurgiu, le truppe irregolari turche potevano effettuare incursioni fulminee e colpire ovunque. Queste incursioni non erano frutto del caso, ma derivavano da un sistema ben organizzato, finalizzato a impressionare le popolazioni cristiane e ad approvigionare di schiavi i meracti balcanici e asiatici.

Vlad Dracul era esasperato dalla passività dei Sassoni, i queli dispensati dal fornire uomini alle truppe ungheresi, si rinhidevano dietro le loro mura e contemplarono i saccheggi degli eserciti turchi. D'altro canto Sigismondo di Lussemburgo aveva permesso in Transilvania s'insediasse  uno (se non due) dei luoghi di Dan II: la protezione che l'imperatore gli accordava accentuava la pressione sul voivoda  valacco, il cui trono si trovava perciò minacciato. Infine, la mancanza di fantasia dell'imperatore, che non poteva (o non voleva) adottare la difesa dell'Ungheria alle condizioni che esigeva la lotta contro i Turchi, era un argomento in più a favore di una soluzione di compromesso con questi ultimi in attesa di tempi migliori.

Il secondo matrimonio di Vlad Dracul

Vlad Dracul era vedovo o si era separato  dalla moglie, la madre  dei suoi primi due figli, Mircea e Vlad. Come nuova sposa scelse una principessa moldava, forse chiamata Marina, sorella dei voivoda Ilias e Stefano, che dal 1432 si dividevano la vicina Moldavia. Si trattava presumibilmente della vedova di Alessandro Aldea, un tipo di unione che ebbe luogo più volte nella storia della Valacchia. Questa principessa, che dopo la morte di Vlad pese il velo sotto il nome di Eufrasia gli diede due figli, un maschio, Radu, nato nel 1438-1439, e una femmina, Alessandra. Con questa unione matrimoniale Vlad dracul s'imparentava anche con il re di Polonia, Ladislao Jagellone, la cui moglie, Sofia, era sorella della moglie di Ilias di Moldavia. Quest'alleanza consolidava il prestigio di Vlad Dracul nel suo paese e all'estero. Infatti, alla morte di Sigismondo di Lussemburgo, le corone della Germania e d'Ungheria tornarono nelle mani di Alberto d'Asburgo, mentre una parte della nobiltà ceca offrì la corona della Boemia al fratello del re di Polonia.

La campagna di Murad II in Transilvania (1438)

l nuovo imperatore Alberto d'Asburgo (1438-1439), genero di Sigismondo, non prendeva sul serio la minaccia turca. Le sue priorità sono altre: le truppe polacche erano appena entrate in Boemia. Ecco perché, il 14 febbraio 1438 Alberto annunciava agli abitanti di Brasov di averli affidati <<nelle mani del nostro fedele Vlad, voivoda del nostro paese transalpino>>. Null'altro. Non una parola su una tregua, sue ventuali trattative  di pace, con il sultano il quale, ben informato sulla situazione interna dell'Impero, ritenne che fosse questo il momento di accapparrarsi quanto rimaneva del tentativo del despota di Serbia (cosa che fece nel 1438-1439) e di compiere un'azione risolutiva in Ungheria. Murad II sapeva che le truppe imperiali erano impegnate in Boemia. Designò come obietivo della campagna Buda, la capitale ungherese, ma lo scioglimento delle nevi e la caduta di forti pioggie gonfiarono i fiumi fino a inondare le pianure meridionali dell'Ungheria. Il sultano, alla testa di un numero compreso tra 70.000 e gli 80.000 uomini, decise allora di rivolgersi a est e attaccò la Transilvania. La campagna, durò quasi due mesi; fu la più distruttiva fra tutte le incursioni  ottomane condotte fino ad allora. I Turchi risalirono la valle del Mures, saccheggiarono  e incendiarono le città e i villaggi sassoni, romeni e ungheresi - dieci anni dopo, i quelle regioni, erano ancora visibili la località abbandonate e le chiese in rovina. Alba Julia, futura capitale  della Transilvania, fu presa d'assalto e saccheggiata; in compenso Sibiu, resistette a un assedio durato otto giorni, così come Brasov, i cui sobborghi vennero descritti.

Vlad Dracul fu inviato dal sultano a guidare le truppe. Con la morte nell'anima (timore mortis), come lui stesso confessò, il voivoda valacco fece da guida all'esercito ottomamo in una regione che conosceva perfettamente e della quale aveva teoricamente la custodia. I suoi veri sentimenti vennero però messi a nudo dal modo in cui trattò gli abitanti di Sales durante l'assedio della città.

Vlad Dracul conosceva dunque molto bene l'usanza ottomana di condurre le popolazioni straniere e cristiane all'interno dell'Impero. Una resa pacifica risparmiava gli abitanti di Sales non solo la distruzione della loro città e il saccheggio dei loro beni (a scapito dei soldati turchi) ma anche e soprattutto la vita. Giorgio d'Ungheria  lo capì, a sue spese durante il suo soggiorno ventennale in Turchia:
I Turchi considerano la morte di un solo uomo  unaa grande perdita. Ed è per questo motivo che il Gran Turco, pur avendo un potere immenso e pur potendo prendere con la forza delle armi molte terre e isole, fa tuttvia attenzione a non uccidere gli uomini, preferisce prenderli vivi e far loro veresare un tributo (djiza) piuttosto che sottometterli con la forza facendo scorrere il sangue. Da questo deriva il fatto che essi non vogliono in alcun caso uccidere gli uomini, a meno di esservi costretti da un'estrema necessità, cioè quando si difendono o quando fuggono; ma, in genere, essi preferiscono prendere uomini vivi.

Alberto d'Asburgo ordinava ai dignitari tranilvani di andare in aiuto ai nobili di Sebes che sarebbero, rientrati in patria dopo il periodo  di prigionia (dorata!) in Valacchia. Solo quattro di essi rimasero in Valacchia: un prete e tre cittadini accusati di tradimento per aver oerganizzato la resa della città. Allo stesso modo furono un prete e alcuni notabili a organizzare la resa di Kelling, altra piazzaforte sassone, che venne così risparmiata.

Giorgio d'Ungheria, unico sopravvissuto della torre <<infernale>> (i Turchi vi avevano appiccato il fuoco per costringere i difensori ad arrendersi) venne venduto con altri compagni di sventura e dei mercanti di schiavi. Incatenati gli uni con gli altri vennero condotti a piedi fino ad Adrianopoli, dove furono nuovamente messi in vendita sul mercato della città.
Dopo la ritirata del sultano e del suo esercito che si portavano appresso un bottino immenso, alla fine dello stesso anno 1438, un'altra spedizione ottomana saccheggiò il paese degli szekely senza incontrare gran resistenza.
Fu solo nel 1439 che il nuovo imperatore radunò un esercito per combattere Murad II in Serbia, ma senza successo. Il 27 ottobre Alberto d'Asburgo moriva di dissenteria  in mezzo alle sue truppe, che non avevano potuto impedire  la presa di Semendria (Semederev), ultima città del potentato di Serbia, che sarebbe scomparsa come Stato indipendente per oltre quattrocento anni.

https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://twitter.com/MadVrath
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/
https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath

lunedì 14 agosto 2017

Dracula. Da l'esilio come stile di vita. Vlad Dracul, protettore dei Transilvani. Finalmente sul trono valacco

Vlad Dracul, protettore dei Transilvani



Durante il periodo trscorso a Sighisoara, Vlad Dracul poté usufruire, come fonte di reddito, delll'officina che coniava la maneta reale ungherese. La sua vita conobbe quindi una certa stabilità? Pare propri di no. L'incarico della difesa del confine meridionale della Transilvania, l'obbligava a mantenere un sistema complesso di spie di agenti che sorvegliassero le sue commerciali con la Valacchia e lo tenessero informato su movimenti di Turchi lungo il Danubio. La sorveglianza nei confronti del pericoloso vicino era stata rafforzata a partire dal , data della prima incursione ottomana nella Transilvania meridionale. Qualche anno dopo, nel 1420, i Turchi avevano scelto un itinerario che passava per il sudest della provincia e in tal modo avevano raggiunto  Broos (Orastie) che fu totalmente distrutta, poi Sibiu, che fu assediata ma senza successo. I ricchi villaggi dei dintorni vennero ridotti in cenere e i loro abitanti in schiavitù. Nel 1421 un'incursione particolarmente violenta, attraverso la gola di Bran, aveva devastato i dintorni di Barsa (Burzenland). La città stessa di Brasov era stata presa d'assalto e gli abitanti si erano dovuti rifugiare nella roccaforte, le cui mura non avevano ceduto.

Le vie d'accesso dalla Valacchia alla Transilvania del sudest erano tre: il passo di Bran e quelle che costeggiano i fiumi Prahova e Teleajen. Tutte sboccavano a Brasov, il che spiega la numerosa corrispondeza tra Vlad Dracul e il consigliere municipale di questa città. In una delle sue lettere, non datata, il principe ricordava che i boorghesi di brasov erano esentati dalla difesa <<della montagna e degli altopiani>> (in romeno plai). 

Quest'incarico di protezione della città assumeva tutta la sua importanza tra il giorno di san Giorgio (23 aprile) e quello di san Demetrio (26 ottobre), date che coincidevano, più o meno, con l'inizio e la fine delle campagne militari ottomane. Durante questo periodo lo stato di allarme era al suo massimo. Vlad Dracul doveva trovarsi costantemente sul terreno, in mezzo ai suoi uomini. Il pericolo diminuiva a partire dal mese di novembre, quando la caduta della neve, bloccava le vie di comunicazione e intralciava i movimenti della cavalleria, che incontrava difficoltà anche nell'approvvigionarsi. Esisteva però sempre il rischio di qualche sorpresa: nel 1421 i Turchi erano, arrivati alla fine del mese di marzo, approfittando del fatto che le nevi si erano sciolte prematuramente. Ciò è tanto più sconcertante iin quanto le vie di accesso alla Transilvania erano poco più larghe di sentieri di montagna, attraversano torrenti e s'inerpicano lungo pareti rocciose. Un'altra via d'accesso che fiancheggiava il fiume Prahova, consentiva il passaggio di un solo cavallo per volta e venne allargata solo nel 1789. Infine quella di Teleajen, più a est saliva fino al 1460 metri d'altezza; un testimone del XVII secolo racconta che un esercito turco l'aveva scalata mettendosi carponi per poter arrivare in Transilvania.
Il secondo incarico di Vlad Dracul era il conio di Sighisoara. Inizialmente il principe si saebbe voluto stabilire a Brasov, dove tra il 1427 e il 1430 aveva già cominciato a funzionare un'officina per la coniazione della moneta, ma il consiglio municipale si era opposto per timore di dispiacere al voivoda della Valacchia. Tra l'altro, anche gli abitanti sassoni di Sighisoara avrebbero voluto proibire al pretendente al trono della Valacchia di abitare ebtro le loro mura, persino a costo di perdere i guadagni che poteva apportare l'esistenza di una Zecca. 

Nel giugno del 1431 i Turchi erano entrati in Valacchia sconfiggendo il principe Dan II, morto in battaglia. Un nuovo principe Alessandro Aldea, fu insediato al suo posto e già il 14 giugno emise un primo editto. Avedndo concluso dei trattati di alleanza, con Signismondo di Lussemburgo e con il principe della Moldavia, Alessandro Aldea si rifiutò di pagare il tributo agli Ottomani. La reazione fu immediata: nuova incursione e occupazione delle piazze di Giurgiu e di Turnu, alla confluenza dei fiumi Olt e Danubio. Il principe fu obbligato a recarsi ad Adrianopoli capitale ottomana, concluedere un trattato di allenaza con Murad II e impegnarsi a paare il tributo. Dovette anche lasciare in ostaggio molti figli dei principali boiardi del paese come pegno di fedeltà della classe politica valacca. In cambio, il nuovo principe potè rientrare con 3000 sudditi fatti prigionieri durante la campagna. 

I transilvani i primi nel mirino dei Turchi accusarono il principe valacco di tradimento dei loro confronti. In una lettera indirizzata ai cittadini di Barsov, Alessandro Aldea: cercò di discolparsi in questi termini:
Avete dichiarato in malomodo che noi avremmo abbandonato il re (d'Ungheria) e ci saremmo sottomessi ai Turchi. In realtà noi serviamo il re e la Santa Corona e preghiamo Dio affinché il re, si rechi qui (in campagna) e gli andramo incontro; e colui che mente, che i cani indichino la sua sposa e sua madre!
Mi sono recato contro il mio volere verso i Turchi per regolare i miei problemi e ho riportato la pace nel paese, per quello che ne resta, e a voi tutti, e ho liberato tremila schiavi, e voi dite che ho intenzione di saccheggiare, insieme ai turchi, il paese del re! Dio non permetterà che saccheggi il vostro paese, e io servirò finché sarò in vita il re e tutti i cristiani, così come ho promesso. 

I Transilvani, si preoccupavano della propria sicuezza mentre Alessandro Aldea temeva l'occupazione militare del suo paese e la sua trasformazione in territorio ottomano. Con quel compromesso sperava in un'eventuale spedizione di Sigismondo contro i Turchi alla quale prometteva di prendere parte. L'imperatore-re, però, sconfitto dai Turchi nel 1428, non poteva organizzare una nuova spedizione perché troppo preso dall'apertura del Concilio di Basilea  e dalla lotta contro la Polonia e gli hussiti di Boemia. Nel 1432 ebbe fine la tregua di tre anni conclusa tra Sigismondo e Murad II. L'imperatore, intento alle lotte, nel centro dell'Europa, trscurò di rinnovarla i il sultano ordinò una spedizione in Transilvania attraverso la Valacchia. Alessandro Aldea si affrettò ad avvisare del pericolo i cittadini di Brasov e chiese d'urgenza un aiuto militare. 

I Turchi, divisero le loro truppe in tre gruppi he si sparpagliarono per saccheggiare i ricchi villaggi e i borghi sassoni. Così facendo si fecero però sopreprendere dalle truppe transilvane, forse aiutate dai Valacchi. Un corpo di spedizione turco che avrebbe dovuto attaccare la Moldavia fu sgominato il 22 giugno 1432 e il resto delle truppe fu attaccato dai cavalieri Teutonici ai quali Sigismondo aveva affidato la difesa del Danubio tra l'Ungheria a Serbia e l'oest della Valacchia. 

Finalmente sul trono valacco



Fu la morte per malattia dei Alessandro Aldea a rendere vacante al trono valacco. Ecco finalmente giunto il momento di Vlad Dracul. Informato dalle sue spie, il pretenndente sollecitò l'aiuto di Sigismondo, il quale invitò i Transilvani a sostenerlo nella sua impresa. Vlad prese contatto con i principali boiardi del paese e passò i Carpazi in settembre. Sconfitto in un primo tempo da un intervento dei bey (governatori) turchi del Danubio, finì poi per imporsi rapidamente poiché, già il 24 gennaio 1437, Vlad Dracul emetteva degli editti in quanto <<autocrate>>, <<gran, voivoda e signore, governante e regnante su tutto il paese di Ungherovalacchia (Valacchia, vicina dell'Ungheria) e duca dei territori oltremonttani, il Fagaras e l'Amlas>>.

Vlad Dracul inaugurava il suo regno. Un osservatore acuto potrebbe ricordare in qquest'occasione le parole dell'imperatore Manuele II Paleologo (1391-1425):
Appena uscito dall'infanzia e non allora giunto all'età adulta, fu gettato in una vita piena di male e di dolore; essa lasciava prevedere che il nostro avvenire ci avrebbe fatto considerare il passto come un'epoca di tranquilla serenità. 

https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/
https://twitter.com/MadVrath
https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath

sabato 12 agosto 2017

Dracula. L'esilio come stile di vita.

La Transilvania, una terra <<rifugio>>



La Transilvania ha svolto un ruolo decisivo nella vita del padre di Dracula. Dal 1918 questa regione forma la parte occidentale della Romania e la sua superficie ha un'estensione di 102.000 chilometri quadrati. Centro dell'antico regno dei Daci nel 106 d.C. venne occupata da Roma e battezzata Dacia. La popolazione autoctona - formata da daci, celti e germani - adottò rapidamente il latino e diede vita ai daco-romani che riuscirono ad assimilare i popoli migratori, in particolare gli Slavi, in modo da formare il popolo e la lingua romena. 
L'insediamento degli Ungari in Romania, a occidente del paese, a partire dall'anno 896, inaugurò una fase d'infiltrazioni, pacifiche o guerriere, lungo i fiumi che dall'altopiano centrale della Transilvania si riversano nella Tisa. Lungo questi fiumi le imbarcazioni trasportano verso ovest e verso sud il sale, una delle grandi ricchezze della Transilvania insieme all'oro e all'argento, al legno e al carbone. Per gli ungari, allevatori di bestiame nella puszta, la pianura erbosa che caratterizza il loro paese, la regione appariva come la terra transilvana, il <<paese oltre le foreste>> da cui il nome Transilvania. 

Dopo tre secoli di pressione gli Ungari riuscirono a impadronirsi della maggior parte della provincia, ma la scarsità di abitanti costrinse i re della dinastia degli Arpad (896-1301), a ricorrere a popolazioni straniere per garantire lo sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo e il controllo delle frontiere. Fu così che lungo il confine orientale (Carpazi orientali) vennero insediati gli Szekley, un gruppo di tribù ugro-finniche come gli Ungari. Questi ultimi si erano rapidamente <<magiarizzati>> dopo essersi convertiti al cattolicesimo. Per lo sfruttamento delle miniere d'oro e d'argento, ma anche per la difesa del confine meridionale (Carpazi meridionali), i re ungheresi ricorsero a coloni dalle regioni del Reno, della Mosella e del Lussemburgo, che si insediarono con i loro locatores e fondarno le prime città del paese. Poiché essi beneficiavano del diritto sassone di Magdeburgo, preso a modello per tutto l'insieme della colonizzazione tedesca dell'Europa orientale, questi <<ospiti fiamminghi>> (hospites flandrenses) presero il nome di Sassoni.

La provincia aveva a capo un duca, o voivoda, e comportava entità amministrative del vario genere: comitat ungari, sul territorio detto <<reale>> a ovest e al centro; nove Sthule sassoni a sud e a nord, più due distretti, Brasov e Bistrita; otto Szek szekely a est. Gli Sthule e gli Szek, letteralmente <<sedia>>, designavano i centri giudiziari e amministrative e di ogni nazione. 
Accanto a queste unità amministrative la Transilvania conservò fino al XIII secolo i voivodati e i Kenezati (principati) romeni, i più importanti dei quali erano quelli del Fagaras e dell'Hateg a sud, e del Maramures a nord. Ma i re della nuova dinastia degli Angiò di Napoli (1308-1387), consigliati dai loro giuristi, soppressero i privilegi della nobiltà tradizionale romena, la quale non godeva di diplomi regali. I nobili romeni furono relegati al rango di privati cittadini, o liberi proprietari di allodi, e i loro antichi principati vennere dissolti nei comitati ungari o negli Stuhle sassoni. Alcuni Knez e voivoda romeni si convertirono al cattolicesimo per poter conservare i loro privilegi, gli altri decaddero dal proprio rango o scelsero di emigrare in Valacchia e in Moldavia, al di là dei Carpazi. 

I borghi più importanti della Transilvania meridonale erano Kronstadt (in romeno Brasov), Hermannstadt (Sibiu), Broos (Oràstie), Muhlbach (Sebes) e Schassburg (Sighisoara). Tutte queste città e in special modo Kronstadt ed Hermannstadt, vicine al confine con la Valacchia, godevano un'eccellente posizione strategica sulle vie commerciali dell'Oriente e del Sud. Essi conobbero uno sviluppo considerevole nel XIV secolo, quando ricevettero il privilegio dei posti di transito (Stapelrecht): i mercanti che prendevano le strade del sud della provincia erano obbligati a formarsi almeno un mese in una delle due città dove i borghesi sassoni avevano la prorità sulle loro mercanzie. Inoltre, i mercanti di Kronstadt avevano ricevuto fin dal 1358 i privilegi di libera circolazione per essi e le loro mercanzie sulle strade che conducevano al basso Danubio e al Mar Nero attraverso il territorio della Valacchia. Si trattava, senza dubbio, di una conseguenza del rapporto di vassallaggionei confronti della corona ungherese da parte dei principi valacchi. La corona manifestava la sua signoria anche attraverso la coniazione: i primi princpi valacchi che coniarono moneta lo fecero allineando le loro monete su quelle ungheresi. Questa situazione, che durò dal 1365 al 1452 ebbe conseguenze importanti sull'economia valacca, sottoposta alle fluttuazioni e alla svalutazione della moneta ungherese. A ogni svalutazione monetaria che avveniva in Ungheria - riduzione del tasso di metallo prezioso (argento), mentre nel corso della moneta restava invariato - i valacchi predevano nel cambio delle loro vecchie monete con le nuove. Ora, nei Balcanie nell'Impero ottomano le monete svalutate non venivano accettate al loro valore nominale ma valutate a seconda del peso del metallo prezioso chhe contenevano. Quando i principi della Valacchia cercavano d'imporre un corso che fosse vantaggioso alla moneta rispetto alle svalutate monete ungheresi le attività della Transilvania, dove funzionavano varie officine per il conio delle monete, protestavano verso il re, il quale minacciava i Romeni di rappresaglie come il ritiro dei due feudi transilvani - Fagaras e Amlas, situati tra Brasov e Sibiu - o come la scelta di un altro principe tra i numerosi pretendenti al trono, i quali, al riparo delle mura delle città sassoni, aspettavano solo un'occasione favorevole per uscire allo scoperto. 

Le città sassoni della Transilvania conoscevanonuna prosperità insolente, che rafforzava la speculazione sulle monete. A tutto ciò si aggiungeva il problema dei rifugiati politici - pretendenti al trono valacco, boiardi e semplici cittadini, che trovavano asilo in Transilvania. Tutti gli sforzi dei principi di Targoviste (capitale valacca nel XV e XVI secolo) per ottenere l'espulsione o l'estradizione di questi importuni fallivano davanti alla liberalità è al senso dell'ospitalità dei Sassoni. A meno che, tali richieste  non fossero accompagnate da minacce o da congrue gratificazioni. 
Fu così che Vlad Dracul visse per molti anni in tutta sicurezza a Sighisoara, da dove complottò contro il rivale più fortunato Alessandro Aldeda, il quale nel 1431, gli aveva sottratto il trono e godeva dell'appoggio dell'Ungheria e della Moldavia. E' anche vero che Sighisoara si trovava a circa 200 chilometri dalla frontiera valacca, una distanza considerevole e che non poteva essere percorsa in meno di una settimana. 

https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath
https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/
https://twitter.com/MadVrath
https://it.pinterest.com/madamevrath/

Dracula. La giovinezza di Vlad Dracul. Nuovo esilio

La giovinezza di Vlad Dracul



Anche Vlad Dracul passò parte della sua giovinezza come ostaggio, ma gli storici non concordano sul luogo di detenzione: Busa o Adrianopoli. In effetti, nel 1423, l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, affermava in una lettera, che un figlio del fu Mircea, prncipe della Valacchia <<educato presso la nostra corte>>, era fuggito da Buda e aveva cercato di raggiungere la Polonia, probabilmente per chiedere un aiuto militare e occupare il trono paterno. Il fuggitivo era stato catturato dai conti di Ujvar, piazzaforte situata al confine con la Galizia, e ricondotto con la forza davanti al re imperatore che all'epoca sosteneva in Valacchia un altro principe. Secondo gli storici romeni il fuggitivo era Vlad Dracul, anche se la lettera di Sigismondo lo chiama <<Laykono>>. Si tratterebbe nel caso del nome romeno Vlaicu, del serbo Vlajko, forma derivata da Vlad, Vladislav o Vladimiro. 

Dracula si trovava presso la corte di Maometto II quando quest'ultimo, nel 1422, mise sotto assedio Costantinopoli, ancora bizantina. Una notte il giovane principe abbandonò il campo otttomano e si rifugiò nella capitale imperiale dove venne ben accolto dall'imperatore Giovanni VIII Paleologo. L'imperatore gli premise d'imbarcarsi su una galera che attraverso il Mar Nero lo condusse nel suo paese, dove cerò di guadagnare alla propria causa la nobiltà e il popolo. 

Vlad allora, dovette rifugiarsi in Transilvania e raccomandarsi a Sigismondo di Lussemburgo, il quale gli affidò la salvaguardia della Transilvania meridionale contro i Turchi e lo costrinse ad aspettare un momento più propizio per rientrare in Valacchia. il momento giunse all'iniziodel 1431, quando una delegazione di boiardi valacchi si recò a Norimberga e cheise al re-imperatore di nominare un nuovo principe al posto del defunto Dan II. 

Cresciuto alla corte di Buda, dov'era, stato mandato dal padre tra il 1395 e il 1418, Vlad freme d'impazienza e tenta la fortuna in una data che ci è ignota (ma anteriore al 1423) presso il re di Polonia. Ricondotto a Buda, riesce poi a lasciare l'Ungheria si reca presso i turchi di Murad II, da dove raggiunge Costantinopoli, poi la Valacchia e infine la Transilvania. Ottiene allora dall'imperatore l'incarico di salvaguardare il confine contro le incursioni Turche; un incarico di grande importanza nell'immediato poiché, nel 1429, Sigismondo aveva siglato un trattato di pace (o meglio una tregua di tre anni) con Murad II. 

Vlad Dracul non ispirava una gran fiducia all'imperatore, il quale poteva disporre in Valacchia di un vassallo fedele nonché di un valoroso guerriero nella persona di Dan II figlio di Dan I e di conseguenza, primo cugino di Vlad. Insediato sul trono dal 1422 Dan II non aveva mai smesso di combattere i Turchi e il loro protetto Radu il Calvo (Praznaglava), infliggendo loro, con l'aiuto degli Ungheresi, una serie di gravi sconfitte. La sua situazione era però delicata perché il principe della Moldavia, che aveva occupato la fortezza di Chilia sul Danubio, era incline ad allearsi ai Turchi e a Radu il Calvo. 

Nuovo esilio



Tutti i principi valacchi avevano figli illegittimi (e Mircea più di tutti gli altri!), ai quali si aggiungevano i figli legittimi, appartenenti i due rami della dinastia. E tutti quanti pretendevano di occupare il trono paterno, non esitando, a tale scopo, a cambiare alleanze e vassallaggi. 

Presso o Romeni i figli naturali e quelli legittimi accedono al trono in maniera eguale. Infatti è generalmente permesso a tutti avere due o tre mogli, ai boiardi e ai grandi signori anche molti di più, e i voivoda sono liberi di averne quante ne vogliono. Dunque, anche quando ne hanno una che chiamano moglie inseparabile e la onorano del titolo di principessa, concedendole un'autorità, un rango e una considerazione superiore a tutte le altre, e anche mantenendo il rapporto nel tempo, essi onorano tuttavia i figli delle concubine quanto quelli della moglie, e tutti sono considerati legittimi e aventi diritto all'eredità, e tutta lla genia di quuesti voivoda, in special modo in Valacchia, è sempre occupata a versare sangue e a commettere altre crudeltà. Infatti, quando uno di essi sale al potere, chiunque abbia un legame con lui, sia fraterno sia di altro grado di parentela, fugge fino all'ultimo all'estero per evitare di essere condannato a morte. Poiché solo i genitori risparmiano i figli e i loro genitori. Tutti quelli che vengono catturati vengono uccisi, oppure, se un pò d'umanità induce il nuovo voivoda ad evitare un crimine, viene tagliato almeno il naso, di modo che così contrassegnati siano privati del diritto di successione al trono paterno. 

Un tempo i principi venivano insediati  dai re d'Ungheria che a volte installarono altri principi oppure rimettevano sul trono quelli che avevano cacciato; di fronte a questi re, i principi giurarono solennemente fedeltà e pagavano loro un tributo annuale oppure obbedivano loro, poiché da molto tempo erano stati annessio piuttosto posti di nuovo sotto la dipendenza dell'Ungheria. Molto spesso, infatti, sentendo risvegliarsi dentro di sé il ricordo del potere di un tempo e sforzandosi di regnare nuovamente da padroni in casa propria, si ribellavano. E ciò chhe fecero soprattutto i Valacchi all'epoca dei regni di Carlo (Roberto), di Luigi (il Grande), e di Sigismondo (di Lussemburgo), poiché la dominazione ungherese, era detestata più di ogni altra cosa. Come se fossero comlpiti da una follia innata, essi (i Valacchi) hanno l'abitudine di uccidere quasi tutti i loro principi, sia apertamente sia di nascosto, e se ne spartiscono i beni. Ed è un vero miracolo se qualcuno riesce a reganre tra anni e a morire di morte naturale sul trono. Una volta, in soli due anni, hanno eliminato due o tre principi. E nessuno della stirpe ignora il fatto che essere eletto significa la morte assicurata. Ma quest'onore li ossessiona a un punto tale che, pur sapendo di poter regnare anche un solo giorno, se ne troverebbero facilmente mille disposti a farlo; e anche se venissero tutti uccisi, altri mille seguirebbero senza timore pensando che spetterebbe loro una morte buona e felice, se fossero riusciti a salire sul trono almeno una volta. Talmente grande è la sete di gloria che si trova presso questo popolo barbaro. 

Nel 1431 il suo esilio sembra sul punto di colcudersi poiché Sigismondo, re d'Ungheria e imperatore della Germania, lo fa incoronare principe della Valacchia a Norimberga e gli conferisce inoltre due ordini prestigiosi, quello di san Ladislao e l'ordine del Dragone. Quest'ordine era stato creato da Sigismondo nel 1408, dapprime come ordine ungherse, e poi come ordine imperiale tedesco, allo scopo di costituire intorno a sé una confraternita di baroni legati alla sua persona. Vi si contavano solo tre sovrani stranieri ovvero il re di Polonia, il despota della Serbia e Vlad Dracul. I membri devono portare le insegne dell'ordine un drago schiacciato da una croce sulla quale era scritto <<O, quam misericors est Deus>> e sul braccio piccolo della croce <<pius et justus>>, più terdi <<paciens et justus>>.

L'8 febbraio 1431 Vlad era già riconosciuto come principe della Valacchia, in questa data, infatti, emetteva un privilegio che concedeva ai monaci francescani il libero esercizio della religione cattolica nel suo paese. Si può dunque presumere che il principe si fosse convertito al cattolicesimo, troncando con la Chiesa ortodossa di Costantinopoli dopo un secolo di appartenenza. 
La situazione di Vlad non era tuttavia così semplice. Appena rientrato in Valacchia era venuto a sapere della morte - questa volta confermata - di Dan II durante una battaglia contro i Turchi. Questi ultimi, avevano allora insediato sul trono un altro figlio illegittimo di Mircea il Vecchio, Aldea (forma romena di Aldo), che aveva preso il nome principesco di Alessandro. Si trattava di un omaggio all'altro suo protettore il principe Alessandro il Buono di Moldavia, costui, vassallo di Polonia, aveva mutato alleanze e ora sosteneva Sigismondo di Lussemburgo, i barbieri Teutonici e i Lituani nel conflitto che li opponeva alla Polonia. 

Vlad dovette limitarsi alla difesa dei confini meridionali della Transilvania e si stanilì a Sighisoara. L'imperatore-re gli concesse, il diritto di battere moneta, un'importante fonte di reddito in un'epoca in cui la svalutazione della moneta ungherese era frequente. 

https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath
https://twitter.com/MadVrath
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/
https://it.pinterest.com/madamevrath/

mercoledì 2 agosto 2017

Maria la sanguinaria. La principessa. II

Maria la sanguinaria. La principessa.


Enrico VII


Due anni dopo la morte del bimbo di Capodanno, Enrico attraversò la Manica e mosse guerra alla Francia a capo di un grande esercito. Da lungo tempo aveva ormai cessato di piangere la tragedia della morte del figlio. Benché a ventuno anni fosse ancora sotto la tutela dei consiglieri che avevano retto il governo fin dall'inizio del suo regno, egli andava sempre più manifestando la propria volontà, come indicava la spedizione oltremare. Nessun esercito inglese aveva invaso il continente a memoria d'uomo, e con molta sagacia politica Enrico VII aveva sempre cercato di conseguire gli sperati obiettivi diplomatici senza le spese e i rischi di un conflitto. Anche ora i consiglieri avevano pregato il giovne monarca di non mettere in pericolo il paese affrontando di persona le inccognite degli scontri, ma i loro suggerimenti seguivano esclusivmente la logica. 

Era insito nella natura di un grande sovrano essere in primo luogo un uomo d'arme e poi uno statista: l'avevano dimostrato tutti i più famosi predecessori di Enrico, da Edoardo I, che aveva combattuto nel Galles, a Edoardo II, che con i figli aveva partecipato alla guerra dei Cent'anni. La società feudale che aveva dato vita all'aristocrazia guerriera si era disintegrata da varie generazioni, ma i valori peronaali della classe cavalleresca: l'audacia e la resistenza in combattimento, l'indomabilità, la generosità la cortesia verso alleati e nemici, la fedeltà a un rgido codice d'onore - erano tanto più entusiasticamente apprezzati quanto più veniva meno l'utilità puramente militare dei cavalieri. E gli esempi di valore individuale erano più numerosi ora che in ogni altra epoca posteriore ai giorni di Riccardo Cuor di leone e del Saladino. Tra questi campioni spiccava un francese contemporaneo di Enrico, più anziano di lui: il signore di Bayard, i cui successi nelle battaglie sostenute in Italia erano ben noti alla corte inglese. In un'occasione, si diceva, egli era riuscito a difendere da solo un ponte contro l'assalto di duecento soldati spagnoli, mentre un'altra volta aveva generosamente rifiutato la ricompensa di 2.500 ducati offertagli da un grato nobile cui aveva salvato la moglie e le figlie dal disonore.   

Alla campagna Enrico aveva attribuito la veste ufficiale di una corciata. L'ira di Giulio II contro il sovrano francese era tale da averlo indotto a emanare un breve che destinava a Luigi XII per concedere il trono a Enricoe che avrebbe avuto effettonon appena quest'ultimo avesse conquistato la Francia. Verso la fine di luglio l'esercito di Enrico lasciò il suolo inglese di Calais, dove era sbarcato tre settimane prima, e si diresse asudest verso la città di Thérouanne. L'esercito arrivò senza incidenti dinnanzi alle mura della città e la mise sotto assedio. 


Maria I

Thérouanne cadde in breve tempo e, dopo aver preso possesso della città con una fastosa cerimonia d'ingresso oltre le mura, Enrico la donò a Massimiliano - il quale ordinò di distruggere tutti gli edifici tranne la vecchia Chiesa - mentre tenne per sé la città di Tournaai, che aveva resistito all'assedio inglese solo otto giorni. Con due città conquistate e un bel numero di importanti personaggi catturati; il cui riscatto, sicuramente versato dagli ansiosi congiunti, avrebbe compensato gran parte del costo della campagna, Enrico riportò l'esercito oltre la manica. Era stata una crociata proficua e persin piacevole: tra un assedio e l'altro, il sovrano si era fermato per varie settimane di feste e spettacoli alla corte della reggente delle Fiandre e vi sostò di nuovo nel corso della marcia verso Calais. Fatto più importante, la spedizione aveva dato a Enrico quella fama militare cui egli anelava. Gli stendardi e gli speroni strappati ai francesi erano ottime spoglie per una prima campagna. 

La più decisiva vittoria militare inglese del 1513 ebbe luogo in assenza di Enrico e sotto il comando nominaledi Caterina. A giugno, quando era salpato, Enrico aveva affidato alla moglie la reggenza del governo e il comando del resto dell'esercito, prevedendo che la sua partenza sarebbe stata il segnaale per qualche incursione oltre confine da parte degli scozzesi. Già in febbraio Lord Dacre, messo a guardia del confine settentrionale, aveva avvertito Enrico che il sovrano scozzese, Giacomo IV, stava radunando uomini in vista di un'invasione. Inoltre Giacomo si era procurato una modernissima artiglieria da assedio e aveva perfino rischiato di causare notevoli danni quando uno dei nuovi cannoni appena fusi, che egli stava provando nel castello di Edinburgo, era esploso al momento del tiro. 


Maria Tudor, Charles Brandon


La sfida di Giacomo, aveva raggiunto Enrico nel mezzo dell'assedio di Thérouanne. Il re aveva allora inviato a Londra il vescovo di Durham, con l'incarico di sovrintendere all'organizzazione della difesa delle contee settentrionali, ma aveva lasciato la responsabilità operativa a Caterina, e al Lord tesoriere Surrey, luogotenente generale del Nord. Caterina si era occupata personalmente di molti dei dettagli amministrativi e aveva messo le sue dame a cucire standardi per i contingenti di cavalleria agli ordini di Surrey. Essendo una donna di grande intelligenza e capacità, le aveva fatto piacere coordinare l'impresa <<Il mio cuore batte per la sfida>> aveva scritto a Enrico. Il 9 settembre gli invasori scozzesi si erano scontrati con le forze di Surrey sulle colline di Flodden, poco al di qua del confine inglese, ed erano stati sconfitti in tre ore. Il massacro era stato terribile: i condannati, i conti e gli altri ecclesiastici, il re stesso - avevano preferito battersi a morte - benché consapevoli di essere ormai battuti. Al termine della battaglia il suolo di Flodden era coperto di cadaveri di nobili, tra cui quello sfigurato di re Giaccomo, caduto accanto al suo stendardo. Il vescovo di Durham aveva elogiato Surrey e i soldati, ma aveva attribuito la vittoria alla protezione di San Cutberto, sotto il cui vessillo avevano combattuto i suoi uomini. 

A una settimana di distanza dalla carneficina di Flodden, Caterina diede alla luce un bambino morto e circa un anno dopo partorì un altro figlio che morì a pochi giorni dalla nascita. Il padre Ferdinando la cui pazienza per i ripetutti aborti e la poco vitale prole di Caterina era svanita da tempo inviò in Inghilterra un dottore e una levatrice spagnoli: nel tentativo di rendere più sicura la sopravvivenza dei futuri nipoti. Non sappiamo quali fossero le loro terapie, ma le comuni cure mediche contro la sterilità includevano beveroni a base di urina di capre e pecore incinte e suffumigi al collo dell'utero ottenuti ponendo una lampada di ottone sotto un'ampolla d'acqua e incanalando il vapore nellaa vagina con una cannula. I rimedi popolari suggerivano invece l'uso di erbe e incantesimi: semi dia cetosa legati a un braccio, amuleti con iscrizioni di nomi magici o religiosi e scapolari contenenti oggetti come le dita e lo sfintere anale di un bambino nato morto. 

Enrico non poteva trascurare il fatto che anche nella sua famiglia esisteva qualche tara: dei sette figli avuti dai suoi genitori, tre maschi e quattro femmine, tre erano morti durante l'nfanzia e un quarto, il principe Arturo, aveva raggiunto appena l'adolescenza. All'epoca molte donne perdevano metà dei figli nei primi mesi o anni di vita, ma Caterina li aveva persi tutti, fnora, e si stava avvicinando alla trentina. 
Nel 1515, per fortuna, la nuova gravidanza di Caterina apparve del tutto normale. Il parto sarebbe dovuto avvenire nel febbraio dell'anno successivo, e la notizia della prossima nascita, fece il giro dei circoli diplomatici. Il nuovo re di Francia, Francesco I (Luigi XII era appena morto), inviperito perché Enrico non gli aveva chiesto personalmente di mandare un suo legato come padrino del nascituro e aveva invece affidato il messaggio al cognato Suffolk, annunciò di conseguenza che non avrebbe inviato aalcun rappresentante. 


Isabella di Castiglia

Il parto avvenne lunedi 18 febbraio 1516, prima dell'alba, nel palazzo di Greenwich. Era nata una bambina, ma la delusione fu momentaneamente superata dalla gioia per la sua sopravvivenza. Tre giorni dopo la piccola venne battezzata nella vicina chiesa dei frati, dove era stato trasportato il fonte in argento riservato ai baattesimi reali. L'evento non ebbe carattere eccezionale, a parte l'alto lignaggio di padrini e madrine. Il terreno fangoso era stato coperto prima con uno spesso strato di ghiaia e poi con paglia, ed erano state erette delle gradinate lungo entrambi i lati del tragitto che il corteo battesimale doveva percorrere dal cancello della corte al portico della chiesa. La neonata era in braccio alla madrina e così strettamente avvolta in coperte, per ripararla dal freddo, che gli spettatori non riuscirono a intravedere neppure il volto. Dinnanzi alla porta della chiesa era stato costruito in ebano, un arco di legno coperto di drappi: padrini e madrine vi si fermarono sotto e un sacerdote benedì la bambina, chiamandola Maria. 

Terminata questa parte della cerimonia, tutti entrarono in chiesa per i riti successivi. Sfilando accanto alle pareti adorne di tessuti ricamati e impreziositi con perle e gemme, un gruppo di gentiluomini e nobili si diresse verso l'altare maggiore, dove erano raccolti gli attrezzi battesimali: il bacile, le candele, il sale o l'olio santo. Quattro cavalieri reggevano il baldacchino d'oro sovrastante la principessina, tenuta ora in braccio dalla contessa di Surrey. Madrine e padrini erano di sangue reale o di rango ducale: Katherine unica figlia vivente di Edoardo IV Plntageneto e zia di Enrico VIII; Margaret, contessa di Salisbury, nipote si Edoardo IV, e quindi anche lei appartenenete al ramo dei plantageneti; Charles Brandon, duca di Suffolk, zio della neonata in quanto marito di Maria, la bella rosa dei Tudor; il duca e la duchessa di Norfolk. 


Luigi XII


Giustiniani lasciò passare del tempo prima di congratularsi con l neo padre a nome del doge di Venezia: <<Si fosse trattato di un maschio>> scrisse poi il doge <<non sarebbe stato opportuno rimandare i rallegramenti>>. Ma una femmina era una cosa diversa. Circa una settimana dopo la nascita di Maria, l'ambasciatore chiese udienza a Enrico e si complimentò con lui per la buona salute della moglie e della figlia. Allo stesso tempo spiegò che il doge sarebbe stato più lieto dell'arrivo di un principino aggiungendo, con un discorso attentamente preparato, che anche Enrico probabilmente sarebbe stato più contento se avesse avuto un maschio e che bissognava comunque rassegnarsi all'imperscruutabile volontà di Dio. Interrompendo questo capolavoro, di retorica, Enrico osservò che, dal momento che lui e la regina erano molto giovani (affermazione discutibile nel caso di Caterina), non v'era alcun motivo per rassegnarsi :<<Se questa volta abbiamo avuto una femmina, con l'aiuto di Dio i maschi seguiranno>>. 

Maria Tudor venne al mondo in una stagione di lutti. Il re Ferdinando, malato già da quaalche tempo, era morto alla fine di gennaio e la triste notizia era giunta in Inghilterra poco prima del parto. La regina ne fu informata solo dopo la nscita della piccola e certo si addolcì molto al pensiero che il padre non aveva saputo del lieto evento. Caterina non amava molto il genitore: non lo vedeva da vent'anni, era stata trattata da lui come merce di scambio piuttosto che come figlia e, tutto sommato, Ferdinando era tutt'altro che un tipo amabile. Ma ella aveva sempre nutrito un forte senso del dovere, e una notevole paura, nei suoi confronti; inoltre la sua morte spezzava un altro dei suoi legami con la Spagna e con il venerato ricordo della madre. Va aggiunto, a onor del vero, che l'ultima malattia di Ferdinando era stata una vicenda troppo tragicomica per suscitare un profondo cordoglio. Alcuni anni prima il sovrano spagnolo aveva deciso di avere un figlio dalla seconda moglie, Germaine de Foix; ma, poiché lui aveva già superato la sessantina, l'impresa si presentava ardua, allo scopo di rinvigorire i sopiti ardori del coniuge, l'ambiziosa Germaine aveva preso a mescolargli nelle vivande un potente afrodisiaco, una poziione che alla lunga aveva procurato al sovrano attacchi di convulsioni e danni al cervello. Dopo due anni di questa cura Ferdinando non solo era più o meno costantemente malato e fuor di senno, ma continuava a praticare il suo passatempo preferito, la caccia, in tal modo indebolendo ulteriormente la sua malferma salute. Infine nel gennaio 1516 Ferdinando <<era spirato>>.

La morte di Ferdinando segnò la scomparsa della generazione dei nonni di Maria che non ne avrebbe conosciuto neppure uno, anche se ne portava i segni. I più romantici e illustri erano gli avi spagnoli. Erede al trono mediterraneo d'Aragona, Ferdinando aveva trascorso la giovinezza a combattere accanto al padre nella guerra civile contro i ribelli catalani; e dopo avere sposato a diciotto anni Isabella, erede di un altro regno, aveva partecipato alle lote sostenue dalla moglie per assicurarsi il diritto al trono di Castiglia. Competente più che brillante sia come soldato, sia come sovrano, Ferdinando era destinato avenire messo in ombra dalla straordinaria consorte. Guerriera, vincitrice dei Mori infaticabile amministratrice, patrona della cultura e delle esplorazioni marittime, Isabella di Castiglia aveva la mentalità di un cavaliere feudale e incarnava il più ssacro ideale della Spagna: la tradizione della crociata. Quando il fratello Enrico IV, era morto senza lasciare eredi legittimi, Isabella si era rifiutata di riconosce re le pretese della nipote e si era battuta furiosamente finché non era riuscita a scacciare la rivale dal paese. Il matrimonio non l'aveva indotta a concedere a ferdinando il controllo del proprio regno e aveva continuato a governare come una sovrana indipendente, facendo fronte a varie rivolte, all'irrequietezza dell'orgogliosa nobiltà castigliana e al tedio quotidiano degli affari di Stato. Se non era sul campo di battaglia, riceveva gli ambasciatori, conferiva con i consiglieri, si occupava di problemi legali o bellici dal mattino alla sera e poi trascorreva gran parte della notte a dettare lettere e documenti ai segretari. Non era stata preparata a trattare gli affari pubblici e conosceva poco il latino, ragione per cui nel poco tempo libero l'aveva studiato fino a padroneggiarlo. 

Tali benemerenze, importanti come erano per Isabella, erano passate inosservate alla maggioranza dei sudditi, i quali laa conoscevano molto di più come la guerriera vincitrice dei Mori. Fin dal Medioevo i regni cristiani della Spagna avevano trovato un tratto distintivo nell'opposizione al dominio moresco della penisola strappando ai nemici un territorio dopo l'altro, tanto che all'epoca di Isabella solo Granada era ancora in loro mani. Un decennio di assedi e di assalti sotto lo stendardo della sovrana, interrotti solo quando Isabella si era concessa una pausa per partorire sua figlia Caterina, si era concluso nel 1492 con la caduta di Granada. Sposandosi tra loro, <<i re cattolici>>, come venivano chiamati Ferdinando e Isabella, avevano unifcato la Spagna e ne avevano fatto un regno prfondamente legato alla fede di Roma. 

Più avanti negli anni, Isabella era passata dalla veste di eroina trionfante a quella di malinconica reclusa. Era divenuta pigra e cupa, e le lacrime di pietà religiosa non si distinguevano da quelle piante per le infedeltà di Ferdinando. Sul ruvido abito di suora laica del Terz'Ordine francescano indossava soltanto mantelli neri. 

Il nonno paterno di Maria, Enrico VII non aveva mai parlato di Ferdinando e Isabella senza toccarsi il cappello in segno di rispetto. In seguito dopo il matrimonio tra Caterina e Arturo, era stato solito vantarsi che lui e la moglie erano diventati <<fratello e sorella>> dei grandi sovrani spagnoli e in presena del loro ambasciatore aveva solennemente giurato, la mano sul cuore, che se avesse udito un suo suddito parlare contro i re cattolici <<nel suo intimo non lo avrebbe mai più stimato>>.

Quando aveva conquistato il trono inglese, nel 1485, Enrico era di fatto un fuori legge marchiato da un bando di proscrizione che lo aveva privato dei diritti civili, dei titoli e dei beni. Per via di madre avrebbe potuto vantare diritti sulla corona, ma non aveva né denari né sostenitori. Il bando lo aveva spinto a cercare asilo nel continente dove a ventotto anni aveva infine radunato un piccolo esercito con cui, attraversata la Manica, aveva affrontato e sconfitto a Bosworth il sovrano regnante, Riccardo III. Ovviamente la vittoria e la successiva incoronazione avevano annullato l'infamante condanna, ma per quanto il Parlamento avesse subito dichiarato traditori tutti quelli che si erano schierati contro Enrico a Bosworth, la sua corona era apparsa precaria. Per consolidarla era indispensabile superare non solo la gravve minaccia rappresentata da Parkin Warebeck, che aveva in modo convincente propinato a molti monarchi europei la frottola di essere il minore dei due figli di Edoardo IV morti assassinati, ma anche il bizzarro pericolo costituito dal pretendente irlandese Lambert Simnel, autoproclamatosi Edoardo VI. Era indispensabile, inoltre, sopravvivere a intrighi d'ogni sorta, quale quello ordito da creduli cospiratori qui un astrologo romano aveva fornito un unguento che, spalmato sulle pareti di un corridoio del palazzo avrebbe dovuto provocare l'assassinio del re <<per mano di coloro che più l'amavano>>.

La moglie di Enrico VII Elisabetta di York, aveva vissuto la vita ritirata di una regina medievvale, partorendo figli a intervalli regolari e aggiungendo all'autorità del marito il prestigio del casato York (in quanto figlia di Edoardo IV). Alla splendida cerimonia della sua incoronazione era arrivata su una portantina di tessuto d'oro, con una lussuosa veste e una corona ingioiellata sui <<bei capelli biondi che le scendevano ben oltre la schiena>>; ma in seguito, avendo scelto quale proprio motto le parole <<umile e riverente>>, si era chiusa in una sorta di crepuscolo fatto di attese di parto e di stanze dei bambini. 

Della prole di Enrico e di Elisabetta il più robusto e il più turbolennto era sempre stato il secondo, chiamato nell'infanzia principe Hal. Un bel bambino dalla faccia rotonda, e la carnagione rosa, principe Hal era stato grtificato di altisonanti titoli priima ancor che compisse un anno - Governatore dei Cinque Ports, Connestabile del castello di Dover - e a tre anni era stato sia creato cavaliere dell'Ordine del Bagno sia ammesso all'ordine della Giarrettiera. A quattro anni il piccolo era già stato in grado di cavalcare da solo, e con perizia, nel corteo ufficiale diretto all'abbazia di Westminster, dove sarebbe stato nominato duca di York, un titolo che il padre aveva deciso di attribuirgli subito per contrastare Perkin Warbeck, il quale avanzava pretese sullo stesso titolo e stava prepafrando un'invasione in Inghilterra dal continente. Erasmo, che incontrò il futuro Enrico VIII quando questi aveva otto anni, aveva dichiarato che il principe possedeva in misura reale doti di dignità e ccortesia e che prevedeva per lui un ottimo futuro, come maschio secondogenito, enrico era stato esentato dagli obblighi e dagli impegni di un erede al trono, ma a dieci anni e mezzo la morte del fratello lo aveva innalzato improvvisamente al rango di prncipe di Galles. Da allora in avanti egli aveva iniziato a imparare le arti cavalleresche e ad acquisire la popolarità di un futuro sovrano. A sedici anni il principe Hal era più alto del padre con <<gambe e braccia gigantesche>>. L'ambasciatore spagnolo aveva sostenuto che non esisteva <<in tutto il mondo giovane più bello del principe di Galles>>, e un altro osservatore si era spinto ancora oltre: <<Se si dovessero mettere in fila i nomi di tutti i principi definiti belli, quello di Enrico starebbe al primo posto>>. Coloro che avevano amato Enrico VII ora ne adorvano il figlio. Le ballate popolari del tempo sul principe Hal raccontano che al ragazzo piaceva indossare panni rozzi per mescolarsi alla gente comune e tuttavia veniva invariabilmente scoperto, riconosciuto e ricondotto in trionfo al palazzo, circondato da fedeli sudditi esultanti. 

Le sorelle di Enrico VIII, le zie di Maria, non sarebbero potute essere più diverse. Margherita di due anni maggiore di Enrico, er aun'energica e sveglia adolsecente di quattoridici anni quando il padre l'aveva data in sposa a Guglielmo IV di Scozia, allora ventottenne e uomo dalle numerose e facili avventuure femminili (mentre si stavano trattando le nozze con la principessa Tudor, la sua bella amnte lady Margaret Drummond era morta in circostanze inspiegate). Margherita aveva sopportato quel matrimonio non voluto, ma non senza lamentarsene: afflitta dalla nostalgia e umiliata dal marito, aveva inviato pietose lettere al padre. La morte di Giacomo IV a Flodden l'aveva liberata da un'infelice unione, ma un secondo matrimonio con il conte di Angus aveva portato a un altro conflitto e infine a una guerra civile. Ormai era diventata una gorssa matrona dai tratti appesantiti, ma era una donna di mondo, autunoma e autorevole. 

Se Margherita era stata poco felice e poco fortunata nella vita domestica, probabilmente la sorella più giovane Maria, era stata la principessa più invidiata della sua generazione. I ritratti esistenti confermano l'unanime opinione dei contemporanei circa la sua straordinaria bellezza. La fronte alta e liscia, i lineamenti delicati erano messi in risalto da una carnagione così chiara che rasentava il pallore. A differenza di Enrico, Maria aveva gli occhi e i capelli scuri, e un'espressione di dolcezza e docilità. Era comunemente dotata di una forte volontà, e la consapevolezza di essere fra le più ambite nobildonne europee le aveva dato fiducia in sé. Aveva acconsentito a sposare l'anziano re francese Luigi XII (dopo la rottura di un precedente fidanzamento con Carlo di Castiglia, il futuro Carlo V), ma in cambio aveva negoziato la libertà di scegliersi da sola il marito successivo. Tuttti sapevano che la sua scelta sarebbe caduta su Charles Brandon, amico intimo di Enrico, e ala morte di Luigi, avvenuta poco dopo il matrimonio, era stato proprio Brandon a venire inviato in Francia per consolare la giovanissima vedova; i due senza perdere tempo, si sono sposati segretamente mentre si trovavano ancora lì. Enrico era andato su tutte le furie, ma amava troppo la sorella e l'amico per proibire loro di tornare a corte. La sua vendetta era consistita nell'appropriarsi dell'argenteria e dei gioielli di Maria e nel costringerla a ripagargli le spese del costoso matrimonio con Luigi. 

Gli antenati inglesi e spagnoli della principessina Maria erano uomini e donne ricchi di iniziativa, combattivi, coraggiosi, indipendenti. Anch'ella avebbe avuto tali doti se, per quanto allevata come una principessa inglese, le fu parimenti insegnato a onorare e rivendicare con orgoglio il suo sangue spagnolo. In fin dei conti, a prendersi cura di lei fu a lungo la madre che non parlò mai fluentemente l'inglese e che per tutta la vita, continuò a pregare in spagolo. Come personalità e come spirito Maria avrebbe somigliato sopratutto alla nonna materna, Isabella; ne avrebbe ereditato la tenacia, il coraggio, il gusto per le lunghe ore di lavoro, la tendenza alla malinconia. E ne avrebbe condiviso anche il desiderio di purificare la fede e raddrizzare la situazione religiosa del proprio paese, ma in circostanze così diverse da quelle della Spagna quattrocentesca da non consentire un confronto. 

https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath
https://twitter.com/MadVrath
https://www.linkedin.com/in/madame-vrath-402a3a3b/
https://it.pinterest.com/madamevrath/