venerdì 23 febbraio 2018

Maria Antonietta Cap IX

Maria Antonietta Cap IX


Marie Antoinette. Raphaelle Agogué


Louis XVI. Marie Antoinette. Gabriel Dufay. Raphaelle Agougé


Louis XVI. Gabriel Dufay 







Nella camera fiocamente illuminata di Versailles ove Luigi XV giaceva immerso nel torpore, le sue tre figlie erano allarmate. Il re non le riconosceva più e non rivolgeva più loro la parola. I chirurghi e i medici passavano a turno vicino al suo stretto letto, e a turno si chinavano su di lui. I domestici, che avevano ricevuto ordine di tenere la camera quasi al buio perché la luce offendeva gli occhi semispenti del sovrano, stavano in piedi nella fitta penombra, in attesa di istruzioni. Improvvisamente una torcia venne accesa, e in quell'istante dii intens. a illuminazione si vede bene la testa del malato. Il volto era coperto di macchie rosso scuro. Il re non era ammalato di febbre catarrale, ma di vaiolo. 

Non erano vaccinati né il re né alcun altro membro della famiglia reale. (E, del reto, certi personaggi della corte che si erano fatti vaccinare erano morti poco dopo - fra essi anche un figlio della contessa di Noailles - il che deponeva contro la vaccinazione stessa.) Il vaiolo, tuttavia, incuteva terrore, e tutti a corte rabbrividirono quando vennero a sapere che il volto del sovrano si era coperto di macchie. Il re aveva già avuto il vaiolo, nell'ormai remoto 1728, ma ciò non costituiva una protezione contro una ricaduta del morbo, che non poteva non essere fatale, ed egli stesso sembrava rendersi conto  che non si sarebbe più ripreso. Si era ammalato il 27 aprile: il 4 maggio aveva fatto mandar via dalla sua camera Madame Du Barry, in modo da dare almeno l'impressione di un pentimento e di morire in modo edificante. 

La polvere di corteccia d'olmo somministratagli dai medici non aveva alleviato i dolori. Dopo otto giorni di malattia puzzava orribilmente, come se il suo corpo devastato emettesse già un tanfo di morte. Al delfino era stato ordinato di non entrare nella camera del nonno, ma Adelaide, Vittoria e Sofia passavano le giornate al capezzale di Luigi XV, rischiando la vita per dovere filiale. Anche i ministri del re andavano e venivano dalla camera, alternandosi con i medici, i quali sapevano bene che, siccome non erano riusciti a guarire il sovrano dal suo terribile morbo, la loro posizione a corte era in pericolo. Ad Antonietta fu consentito di vedere il re morente la mattina del 7 maggio, e le fu comunicato che Luigi XV aveva fatto chiamare il suo confessore e desiderava ricevere l'eucarestia. 

I cortili del grande palazzo si stavano riempiendo di persone: alcune erano in lacrime, molte mormorvano preghiere, altre erano impazienti di apprendere la notizia della morte dell'odiato e vizioso vecchio monarca che regnava sulla Francia da quando era ragazzo. Per quanto mite fosse divenuto il suo atteggiamento verso i sudditi, per quaanto utili fossero stati i suoi recenti, tardivi tentativi di riforma del sistema di governo, molti lo considervano spietatamente sordo alle eigenze e alle necessità del popolo. 

Il 9 maggio cominciò per lui un delirio intermittente; era troppo indebolito dal morbo per parlare, e nei momenti di relativa lucidità riusciva a esprimersi solo con dei sussurri. Non fu in grado di ponunciare le parole di pentimento suggeritegli dal suo confessore, cosicché monsignor de la Roche-Aymon, grande elemosiniere le lesse per lui. <<Signori>>, disse solennemente l'altissimo prelato ai cortigiani riuniti, <<il re mi ha ncaricato di dirvi che chiede perdono a Dio per averlo offeso e per lo scandalo che ha dato dinanzi al suo popolo.>>

Il vecchio re rimase tra la vita e la morte fino al 10 maggio, gemendo nella fase estrema dell'agonia, col volto rigonfio e ormai nerastro per l'infuriare del male. Infine, verso la metà del pomeriggio, si spense, e il gran ciambellano, duca di Bouillon, uscì dalla sua camera per dare il ferale annuncio.
<<Signori, il re è morto. Evvia il re!>>

Nei cortili, i cavalli battevano gli zoccoli sui lastroni dei pavimenti e i domestici gridavano uno all'altro di prepararsi a partire. Con gran favore di passi, i cortigiani raggiunseroo di corsa l'ppartamento di Luigi Augusto, resero omaggio al nuovo re, sbiancato in volto, e si precipitarono in cortile per salire sulle carrozze. In capo a un'ora il palazzo di Versailles era pressoché deserto. C'erano rimasti soltanto la salma del sovrano e i pochi dignitari ai quali era stato affidato il compito di scortarla fino a Saint-Denis per la sepoltura. 


Louis XVI


Luigi deteneva un'autorità assoluta e suprema, la sua parola era legge, la sua persona era sacra. Non avendo il monimo di preparazione a quella giornata, che era la prima che passava come re di Francia, tremava; eppure non era completamente privo di risorse. A Choisy aveva portato con sé un documento scritto dal padre defunto molti anni prima, un <<Elenco di varie persone raccomandate dal delfino a quello dei suoi figli che succederà al re Luigi XV>>. L'elenco non era lungo, e le raccomandazioni che conteneva non erano prolisse. M. de Nivernois, diceva, aveva <<spirito e grazia>>, M. de Castries era <<buono per lìesercito>>, M. de Muy era <<la virtù personificata>>. Luigi scels M. de Machault (<<un uomo di carattere inflessibile, ha fatto qualche errore di giudiziom ma è una persona di valore>>). Ma Adelaide, per quanto debilitata e contagiata da settimane di veglia al capezzale del padre morente, intervenne con energia: Luigi, disse, doveva mandare a chiamare l'anziano conte di Maurepas (<<ha tenuto fede ai veri principi della politica>>) e nessun altro. 

I cortigiani, ansiosi soprattutto di allinearsi con chi deteneva il vero potere a corte, affluirono in massa da Antonietta e fecero i loro approcci con tutta la lievità delle sanguisughe che si attaccano a un nuotatore. La nuova regina, che indossava gli abiti di lutto ed era priva di trucco sulle labbra e sulle guance - ma non per questo meno incantevole - li ricevette e mostrò, nei confronti dei più giovani, il consueto calore e la consueta vivacità. Le dame più anziane, però, sentirono quanto poteva essere pungente la sua lingua quando si recarono da lei pre presentarle formalmente i loro <<omaggi di lutto>>. Odiando tutte le cerimonie, e decisa, adesso che era regina a semplificarle o a farne a meno, Antonietta sorrise alla vista di quelle <<centenarie>> e <<presuntuose>>, come le chiamava, <<e quanto mai inopportunamente scoppiò a ridere>> dinanzi alle loro facce rugose. 

Fra o gentiluomini e le dame di corte si stavano formando nuove conventicole, si tracciavano nuove linee di schieramento nella costante lotta per i posti e per il prestigio. Era stato dato per scontato che il nuovo re si sarebbe dimostrato, schivo, debole e incapace, e che sarebbe stato dominato da sua moglie. Luigi però si stava dimostrando notevolmente energico. Quando i ministri di suo nonno si rivolgevano a lui chiedendogli direttive, rispondeva in modo deciso e regalmente sobrio. Tra i suoi primi atti fu quello di allontanare dalla corte i medici che non avevano spauto curare il vecchio re. Con l'aiuto di Maurepas, il mentore e la guida ce si era scelto, si mise a studiare politica estera, materie tributarie, finanze soprattutto. Mettendo da parte la passione per le serrature, la caccia e le costruzioni edili, cominciò a passare intere giornate a tavolino, scrivendo lettere, leggendo dispacci e proposte, imparando a comprendere i complicati calcoli dell'abate Terray. Per evitare di accrescere gli oneri fiscali che già gravavano sui suoi sudditi, annunciò che non avrebbe chiesto la riscossione della tassa di quaranta milioni di franchi che per tradizione veniva imposta all'ascesa al trono di un nuovo monarca. 

Luigi si confidava con Maurepas e con Terray, ma non con Antonietta. Quando quest'ultima si avvicinava al suo tavolo da lavoro copriva i documenti e prendeva un'aria irritata. <<Madame>>, diceva, <<devo occupami di certi affari.>> Qualcuno lo sentì affermare pungentemente che <<ciò che ha sempre mandato in rovina questo paese sono state le donne, mogli legittime o amanti che fossero.>>




Marie Antoinette





Fin dalle prime settimane di regno il buon senso disse a Luigi che le spese di una corte gonfiata e stravagante come quella di Versailles aggravavano la crisi fiscale del paese. <<Ripete in continuità le parole economia, economia>>, scriveva Lord Stormont. E nondimeno era impossibile fare economia in una stagione di lutto per la morte di un sovrano. Alle centinaia di domestici del palazzo bisognava fornire nuove livree nere - per il solo personale stabile ne erano necessarie quasi millequattrocento - più le relative spalline azzurre. Si dovevano inoltre ordinare migliaia di braccia di stoffa nera per i letti e gli arredi dei palazzi reali, e altra stoffa viola per le carrozze.

Ordinare nuovi capi di vestiario era, in realtà, uno dei pochi divertimenti consentiti durante gli interminabili mesi di lutto. A corte non si tenevano balli, e non era permesso ai cortigiani andare a teatro. Antonietta ammazzavva il tempo prendendo una lezione d'arpa al giorno, la mattina, e dando un concerto informale nel pomeriggio, andando a passeggio e facendo una cavalcata nelle belle giornate e, con molta riluttanza, posando per i pittori che, lamentava, <<la infastidivano a morte>> chiedendole di farle il ritratto adesso che era regina. Due volte la settimana riceveva una visita - ma questa con molto piacere - della sua sarta e modista Rose Bertin, proprietaria del negozio alla moda di Rue St. Honoré chiamato <<Le Grand Mogol>>. Madame Bartin non era una nuova venuta a corte: già la duchessa di Chartres era stata sua cliente. Ma avere come cliente la reginaera certamente più redditizio; e comunque Antonietta, con l'aiuto dell'abile sarta, divenne la donna leader della moda. 

Nell'estate e nell'autunno del 1774 le gentildonne della corte caddero in preda a una sorta di follia in materia di copricapi. Per cominciare esplose la moda dei cappelli a l'Iphigéniem che volevano evocare la recente rappresentazione a Parigi dell'Ifigenia in Aulide fi Gluck, un'opera di cui Antonietta era una fervida ammiratrice (Gluck era stato il suo maestro di clavicordo a Vienna). I cappelli all'Ifigenia che erano dei cerchietti di fiori neri con corte velette e un fregio simile a una falce di luna, erano di dimensioni relativamente modeste, ma i poufs à la circostance, che fecero la loro comparsa un mese dopo, erano molto più complicati. Tra i motivi ornamentali che li arricchivano e li rendevano altissimi erano un cipresso, un buon numero di tageti neri, un covone di grano e una cornucopia contenente ogni sorta di frutti, nonché diverse piume bianche. Il significato allegorico del pouf à la circostance era che la Francia, pur piangendo Luigi XV, dava il benvenuto all'abbondanza di cui certamente avrebbe goduto sotto il nuovo re. Venne subito dopo un tipo di acconciatura, e contemporaneamente di un copricapo, che si ispirava alla medicina: il pouf à l'inoculation. Un mese dopo la sua ascesa al trono, Luigi XVI si era rassegnato a farsi vaccinare contro il vaiolo, e il nuovo pouf commemorava questo avvenimento con un sole nascente, un olivo con un serpente attorcigliato intorno al tronco e, accanto, un bastone infiorato. 

Copricapi che prendevano nome dal sultano di Turchia, dal Tesoro reale e dalle suore carmelitane avevano dato notorietà a Rose Bertin, e le dame di corte si erano abituate a stare pazientemente in posa mentre i loro capelli venivano avvolti in rotoli di carta, arricciati con ferri caldissimi, inumiditi con succo di ortica, pettinati e ripettinati e infine incipriati con una mistura nutriente a base di radici di rosa, legno d'aloe, corallo rosso, ambra, fagioli e muschio. Per diversi anni le chiome femminili erano progressivamente aumentate d'altezza mediante l'aggiunta, ai capelli naturali, di capelli finti. Questa tendenza si accentuò ancora dopo l'ascesa al trono di Antonietta. Ora le acconciature di moda richiedevano la collocazione sulla cima del capo di grandi cuscinetti di crine di cavallo, da ricoprire con capelli veri e finti pettinati in modo da formare una sorta di piramide; per tenere il tutto in equilibrio bisognava fissare le complicate acconciature con lunghi spilloni. 

Le suddette creazioni, la cui <<messa in opera>> richiedeva ore e ore di lavoro, dovevano naturalmente essere preservate per il maggior tempo possibile, il che significava che il cuoio capelluto, soggetto a pruriti e sudore sotto quel pesante carico, doveva essere protetto con pomate. Ma le pomate, essendo composte di materie organichem diventavano rancide in pochi giorni, e al fetore che emanavano si aggiungeva il tormento degli spilloni. Coloro che criticavano le acconciature a piramide facevano notare che esse procuravano un eccessivo afflusso di sangue al capo, che a sua volta causava mal di testa, affaticamento alla vista ed erisipela. I capelli cadevano, i denti dolevano, e fra i riccioli prosperavano pulci e pidocchi; le gentildonne portavano con sé lunghe e sottili bacchette con una manina d'avorio a una delle estremità, che servivano loro per grattarsi il cuoio capelluto. 

Quello che importava era essere alla moda, anche se un'acconciatura alta sessanta o ottanta centimetri impediva di sedersi in una carrozza (le dame si inginocchiavno sul pavimento) o di entrare in un salone da ballo (una delle più fantasiose acconciature a piramide di Antonietta dovette essere smantellata e poi rifatta perché la regina potesse partecipare a una soirée). 

Le fantasiose acconciature che abbiamo descritto erano, per Antonietta, una piacevole distrazione, una distrazione di cui aveva fin troppo bisogno perché, adesso che era la regina di Francia, era venuta a trovarsi imprigionata in una ferrea rete di regole e obblighi protocollari. 

La mattina, al primo segno che si era svegliata, entrava nella sua camera una cameriera incsricata del guardaroba, con una cesta di indumenti intimi, fazzoletti e asciugamani. Un'altra cameriera metteva la regina dinanzi al primo compito della giornata, la scelta degli abiti: uno formale di corte, uno informale da pomeriggio e uno per la sera e lo spettacolo o gli altri divertimenti della sera. La scelta veniva fatta su un quaderno illustrato che conteneva i disegni di tutte le toilettes diisponibili. Antonietta segnava gli abiti che desiderava appuntando sui disegni uno spillo, e la cameriera andava a prenderli. Nella camera da letto della regina veniva quindi spinta avanti, sulle sue rotelle, una vasca per il bagno del mattino, e a seguito della vasca entrava il personale addetto al bagno con tutte le cose necessarie, compresa una lunga tunica di flanella, foderata di lino e abbotonata fino al collo, che la pudica Antonietta indossava per immergersi nell'acqua calda. Quando usciva dalla vsca, una domestica teneva sollevato dinanzi a lei un lenzuolo per nasconderla alla vista delle altre domestiche; poi Antonietta si avvolgeva in un leggero accappatoio di taffetà bianco, infilava un paio di pantofoline con disegni in rilievo, e guarnite di merletto, e tornava a letto fino a quando arrivava il momento della sua frugale colazione con cioccolata calda o caffé. 

Antonietta ci faceva stare anche qualche minuto in compagnia di suo marito, ma la maggior parte della mattinata la trascorreva con altri familiari, con amici e amiche e con coloro che godevano dell'ambito privilegio delle petites entrées (il primo medico, il primo chirurgo, il medico di servizio, la lettrice, il segretario, i quattro primi valets de chambre e il primo medico e il primo chirurgo del re). 

A mezzogiorno venica portato al centro di una camera dell'appartamentoo di Antonietta l'enorme e decoratissimo tavolo da toeletta, e intorno ad esso venivano disposte sedie pieghevoli e divani. Gli spettatori autorizzati entravano e a ciascuno Antonietta rivolgeva un cenno di riconoscimento e di saluto appropriato al suo grado, dalla lieve inclinazione del capo all'indirizzo di un capitano della guardia al gesto molto più pronunciato (la regina si appoggiava al tavolo da toeletta come per alzarsi in piedi) prescritto nei confronti dei principi. Erano presenti anche le dame d'onore e le cameriere addette all'abbigliamento della regina. (Le cameriere addette alla camera da letto, i cui compiti non includevano la vestizione della sovrana, aspettavano in una camera adiacente la fine della vestizione medesima, dopo di che entravano anch'esse nella camera da letto per accompagnare Antonietta alla messa).Terminata la sistemazione dell'acconciatura, cominciava la vestizione vera e propria, una dama d'onore infilava ad Antonietta la camicia e versava acqua in una bacinella in modo che la regina potesse lavarsi le man, quindi una cameriera aiutava la sovrana a infilare l'ampio abito a guardinfante, le aggiustava il fazzoletto da collo e le fermava la collana. Il lungo strascico d corte veniva applicato per ultimo. 

Petizioni venivano presentate alla regina perché le accogliesse; ufficiali in partenza prendevano formalmente congedo; dame, ambasciatori, personalità straniere che venivano ufficialmente presentate ad Antonietta. Un usciere, nell'anticamera dinanzi alla pprta d'ingresso, stava di guardia a quest'ultima per impedire l'accesso a chi non fosse autorizzato e per annunciare i nomi dei visitatori importanti. (Conformemente alle regole dell'etichetta, in realtà li comunicava una dama d'onore, laa quale li comunicava alla regina.) Infine, quando era stata fatta l'ultima presentazione e alla toeletta regale era astato applicato l'ultimo ornamento, la regina tornava nella sua camera da letto, il primo usciere, il primo scudiere, i rappresentanti del clero che quel giorno avevano il compito di assisterla durante la messa e le principesse della famiglia reale (con tutte le loro dame, cameriere e altre persone addette). L'intero gruppo raggiungeva quindi la cappella per la cerimonia religiosa. 

<<Nel momento in cui comparve sua maestà>>, ricordava Sir Samuel, <<i tamburi rullarono facendo tremare il tempio, come se il loro scopo fosse quello di annunciare l'avicinarsi di un conquistatore. Per tutto il tempo della celebrazione della messa i coristi cantarono, in parte arie per solisti, in parte arie per coro. Sui posti anteriori della galleria sedevano le dame di corte, sfavillanti di cosmetici e sontuosamente abbigliate, quasi volessero godesi un vistoso spettacolo e anzi parteciparvi come protagoniste. Il re rideva e occhieggiava le dame; tutti gli occhi erano fissati si personaggi della corte, tutte le  orecchie ascoltavano con attenzione le note dei cantanti, mentre il sacerdote, che nel frattempo continuava a celebrare la messa, non veniva ascoltato da nessuno dei presenti.>>

Dopo la messa veniva un'altra cerimonia rituale, quella del pasto di mezzogiorno, che era particolarmente sontuoso la domenica. Luigi e Antonietta pranzavano insieme, assistiti dalle dame d'onore di Antonietta, alcune delle quali stavano sedute su dei sofà, altre in piedi attorno alla tavola. Questa era apparecchiaa con tovaglia e tovagliolidi damasco, stoviglie d'argento e posate dorate. Dietro la sedia del sovrano stavano il capitano delle guardie e il primo gentiluomo di camera; dietro la regina erano il primo maitre d'hotel, il suo primo usciere e il suo primo scudiere. Quando il maitre d'hotel entrava nella sala da prenzo, tenendo in mano il suo bastone lungo più di due metri, sormontato da una cooroncina di fiordalisi, venivano portati i vassoi e il pasto aveva inizio. Alla regina veniva presentato il menù e i servitori ponevano dinanzi alle loro maestà i piatti di carne, di selvaggina e di pasticcio. Era un pranzo molto cerimonioso ma non necessariamente tetro. 

Finito di pranzare, il re e la regina se ne andavano ciascuno per proprio conto. Antonietta, sempre circondata dal suo entourage, ttornava nel suo appartamento, ove veniva aiutata a sbarazzatsi dell'abito formale di corte, con tanto di guardinfante e di strascico, e indossava un più semplice abito da pomeriggio. La prima parte del pomeriggio trascorreva in conversazioni con i parenti, musica d'arpa, udienze ai visitatori, passeggiate a piedi e in carrozza. Il gioco delle carte, la cena e un ritorno alla cerchia dei familiari occupavano la serata, ma dopo le undici, ogni sera, dopo che Luigi era andato a dormire, Antonietta raggiungeva le sue giovani amiche nell'appartamento della principessa di Lamballe o in quello della principessa di Guéménéè; e queste riunioni notturne non mancavano di provocare pettegolezzi e critiche. Ma nella relativa privacy e nell'atmosfera informale delle stanze delle sue confidenti Antonietta poteva finalmente lasciarsi andare, dimenticarsi della costante vigilanza richiesta dai rituali della giornata, distendersi e ridere a suo piacimento. In quegli appartamenti, e nel suo ritiro del Petit Trianon, il piccolo padiglione nei giardini di Versailles che le era stato donato da Luigi, poteva essere se stessa. 



Le Petit Trianon 



Il Petit Trianon, nella sua struttura delicatamente neoclassica, semplice e perfettamente proporzionata, sembrava scolpito in una pietra color miele. Era composto da appena sette stanze, ma erano tutte squisitamente adorne  e arredate, e Antonietta aveva reso l'ambiente ancora più caldamente elegante con tendine e copritenda di seta e di velluto a fiori e con piccoli tavolini e scrivanie e armadi dalle gambe sottili e affusolate; molti di questi mobiletti erano vere e proprie opere d'arte in legno pregiato, con intarsi ornamentali in porcellana. C'erano fiori dappertutto: fiori freschi provenienti dai giardini, fiori intessuti in morbide sfumature pastello nei copriletto e nei tendaggi, gigli e rose negli stucchi decoratvi delle pareti e sulle mensole marmoree dei caminetti. Sebbene non l'avesse mai visto, Maria Teresa chiamava il Petit Trianon <<la più adorabile delle case>>, e Antonietta sarebbe davvero giunta ad adorarlo, fino al punto da esserne ossessionata. 

Conformemente alla voga allora imperante per tutto ciò che era inglese - cappelli, stivali, abiti femminili, corse di cavalli - ordinò che i giardini adiacenti al piccolo edificio fossero trasformati in modo da somigliare, appunto, a giardini all'inglese, e prima che passasse molto tempo il tratto di terreno che era intorno al Petit Trianon cambiò completamente aspetto. Fu scavato un laghetto, furono create alcune minuscole colline, e i giardinieri riuscirono a ricavare, in una di queste, perfino una grotta. Alla fine dei lavori, boschetti d'alberi, molti dei quali di specie esotiche e fatti arrivare da tutto il mondo, erano sparsi fra i teneri prati rasati, e fra un boschetto e l'altro scorreva un fiumicello. Su un'isoletta fragrante di lillà e di laburni sorgeva un <<tempio dell'amore>>, nel cui interno era una statua di Cupido. I giardini erano una perfetta utopia in miniatura, un luogo magico di grande bellezza e serenità, ove cantavano gli usignoli e non arrivavano le voci stridule dei cortigiani. 

Per Antonietta quell'enclave privata, in un certo senso immaginaria, il suo piccolo palazzo, rappresentava l'esistenza più semplice che aveva conosciuto da bambina, e che rimpiangeva tanto. Sua madre aveva creato un'analoga oasi di privacy a Schönbrunn, e si era premurata di isolare la propria famiglia dai rigidi formalismi di corte. Adesso Antonietta aveva un luogo ove poteva rifugiarsi, ove poteva essere se stessa, libera dai dipendenti e dagli uomini di guardia che la seguivano a ogni passo nel grande palazzo di Versailles. Le piaceva fare un picnic nei giardini del Trianon mangiando fragole, quelle fragole di tutte le varietà conosciute che i provetti giardinieri del re Luigi avevano coltivato su sua richiesta, standosene seduta su una semplice panchina e <<comportandosi nel modo più informale che si possa immaginare>>. Le piaceva enormemente poter ammirare i fiori, ascoltare il canto degli usignoli, gustare il profmo dei laburni e sentire, attraverso le sottili pantofole, la rugiada dei prati. Dopo tutto, c'erano tanti domestici per badare alla piccola casa e ai suoi raffinati giardini, tanti altri divertimenti cui dedicarsi quando quelli del Petit Trianon le venivano a noia, tante altre paia di pantofole per sostituire quelle rovinate dalle sue passeggiate pomeridiane. Luigi credendo che la passione manifestata da Antonietta per la vita semplice significasse che la sua consorte desiderava imparare gli umili mestieri della gente di campagna, le fabbricò, nel suo laboratorio, un filatoio a mano e, tutto orgoglioso, gliene fece dono. Antonietta ne fu lietissima e lo ringraziò affettuosamente; ma appena egli volse le spalle, regalò, a sua volta, il filatoio. 

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