giovedì 28 dicembre 2017

Riflessioni. 28/12/2017


Per convivere pacificamente su questo pianeta, gli esseri umani, dovrebbero armonizzarsi con tutte le altre specie animali, semplicemente evitando di sbagliare...siamo gli unici capaci di farlo! 


Vivere in armonia con il nostro pianeta = fine di tutte le guerre 

Madame Vrath 

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martedì 19 dicembre 2017

Samuel Theis. Louis XIV. Madame Vrath


Samuel Theis. 

Un uomo di valore pensa in grande, realizza grandi cose. Unico nella sua grandezza.

Madame Vrath

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lunedì 27 novembre 2017

Luigi XIV. Il Re Sole. Il figlio del temporale

Il re sole. Luigi XIV

Il figlio del temporale 


Luigi XIV


Luigi XIV. Samuel Theis




Piove troppo. Si può dormire con la regina. 
Luigi XIII

I due uomini più potenti di Francia sono uno di fronte all'altro nel gabinetto di lavoro del re. Il cardinale è avviluppato nel suo manto rosso, ha il volto intenso e scavato, le mani affusolate e ben curate. In questa fine di lugio del 1637 Armand du Plessis, duca di Richelieu, è tormentato dalle angosce per la Guerra dei Trent'anni. Davanti a lui è il suo re: Luigi XIII, di umore mutevole ma dignitoso, pieno di coraggio e plasmato dal senso del dovere, nobile ma privo di quella grazia solenne e di quella magianimità olimpica che caratterizzeranno Luigi XIV. Luigi XIII è sans penache, senza pennacchio, per nulla esibizionista, carico di orgogliosa sicurezza, come dicono i francesi. 

La regina Anna d'Austria si reca troppo spesso nell'abbazia di Val-de-Grace, in rue Saint-Jacques. L'ha acquistata molto tempo fa, il 16 maggio 1621, e vi ha sistemato le suore benedettine a lei fedeli, provenienti dal convento di Val-Profond. Sono le reverende madri di Val-de-Grace de Notre-Dame de la Crèche. La sovrana, quando si ritira nel conventom si rifugia in un appartamento d'angolo il cui ingresso è vigilato da un pellicano in pietra. Là dimentica l'Europa lacerata dalla guerra, s'infiamma a leggere le pagine cariche di sensualità mistica di Santa Teresa d'Avila, ma soprattutto cospira. 
Dopo aver pregato, infatti, scrive in libertà fasci di lettere alla sua famiglia, i reali di Spagna, ma anche alle altre corti d'Europa con le quali intrattiene unaa trama di corrispondenze mirata alla congiura. La badessa, madre Saint-Etienne, nata Luoise de Milly, è della Franca Contea, suddita spagnola. Anna d'Austria è doppiaamente sua sovrana, dunque, in quanto spagnola e in quanto regina di Francia, Louise le fa da <<buca delle lettere>>.

Incaricato di farle arrivare a destinazione è il trentaquattrenne Pierre de la Porte, portamantello della regina, cioè cameriere scelto, originario dell'Angiò. La Porte è l'uomo più fidato su cui può contare la sovrana; le è devotissimo. E' l'unico al corrente della cifra utilizzata per rendere incomprensibili i messaggi. E' lui che da quattro anni, dal 1633 copia le lettere, le sigilla, le porta la segretario dell'ambasciata inglese che le fa uscire dalla Francia. 

Nella più recente, Anna ha messo sull'avviso gli spagnoli contro l'arrivo di un monaco una spia che Richelieu ha mandato a Madrid per raccogliere informazioni. Francia e Spagna sono nel pieno di una dura guerra. Perciò i rapporti epistolari di Anna rappresentano un alto tradimento, un'intelligenza coplevole con il nemico. 

La Porte viene arrestato e gli vengono sequestrate molte carte. E' il 12 agosto 1637. Tre giorni dopo, festa dell'Assunzione, il cancelliere Pierre Séguier, accompagnato sall'arcivescovo di Parigi, si presenta al convento di Val-de-Grace con la Polizia. 


Luigi XIII


Anna nega ogni colpa e giura sull'ostia sacra che non ha scritto ai suoi parenti né ha complottato contro il cardinale. E' un folle spergiuro. Rendendosi conto di perdere terreno la sovrana ammette alcune colpe veniali per distogliere, l'attenzione dappe più gravi. Ma ora il vero rischio per lei è che, in carcere, La Porte rilasci dichiarazioni che la contraddicano. Bidogna fargli sapere quel che ha detto laa sua padrona. 
In aiuto di Anna arriva una sua grande amica: Marie de Hautefort, una splendida ventunenne. 
Rimasta orfana da bambina, Marie era stata allevata dalla noonna, la dama di compagnia prediletta della regina madre, Maria dé Medici, moglie fiorentina di Enrico IV. Nel 1631, a quandici anni Marie, giovane dalla bellezza abbagliante e dal carattere forte, si mise al servizio della regina, ma soprattutto incantò suo figlio Luigi, il re, un trentenne casto o addirittura tendenzialmente omosessuale. 

Luigi era malinconico di natura, aveva bisogno di un'amica più che d'un amante, annoiava le donne. Allora Maria curiosamente si era legata molto alla regina, che sulle prime l'aveva guardata con gelosia ma ben presto aveva provato a sua volta simpatia per quell'intrepida, esuberante amazzone. Così il re nel 1635 si era innamorato di un'altra bella ragazza di corte: Louise-Angélique de La Fayette e dunque Marie si era sentita libera di tuffarsi nelle trame della regina, giocando a essere amica di Anna e della sua anima nera, laa splendida e intrigante Marie de Rohan, duchessa di Chevreuse, detta <<la Chevrette>>, la Capretta. 

Marie, si traveste da cavaliere, riesce a entrare nella Bastiglia e si mete in contatto con un prigioniero di riguardo: il cavaliere Français de Rochechouart, commendatore di Jarsm che è un fiero nemico del cardinale. Gli consegna una lettera in cui sono riportate le confessioni di Anna. 

Neanche la tortura lo condurrà a dire cose diverse da quelle della sovrana. La regina si umilia, ma proclama la propria innoocenza Luigi è dubbioso e la perdona. Graziie alla copertura del fido servitore, la spagnola è salva. Richelieu però, sa benissimo che la sovrana è una spergiura e che cospira con i nemico della Francia in piena guuerra. 

In ventidue anni di matimonio - quando la sposò aveva quattordici anni - la sorella di Filippo IV, re di Spagna, non era riuscita a dargli un erede. E i due non si amavani per niente. La regina non era amata neppure dal popolo, la sua influenza e il suo prestigi erano minimi. Un processo infamante per il complotto le avrebbe fatto cadere la corona di testa e l'avrebbe relegata per sempre nell'ombra di un monastero. 

Certo lo influenza molto il cardinale, che ha interesse nella loro riconciliazione. Riavvicinare Luigi ad Anna significa per Richelieu stendere la mano al <<partito spagnolo>>, che è quello della regina, innamorata del proprio paese d'origine. La svolta è pericolosa, ma il cardinale non ha scelta. Se re e regina divorziano non avranno mai un Delfino e la continuità della monarchiaa di Francia sarà interrotta. Abile stratega, Richelieu coltiva un cupo odio per la sovrana, che ha respinto il suo amore, ma decide di salvarla per non naufragare il suo maestoso progetto si Stato.


Anna d'Austria


Con passione e abilità periva la causa della grande peccatrice davanti al re. Luigi acconsente a peredonarla: <<Ma sarà l'ultima volta>>. Per suggellare la propria clemenza promulga addirittura un atto solenne. E per mostrare al popolo che tra loro regna buon armonia, va a trascorrere con lei dieci giorni a Fontainbleu. Il finto idillio è rinforzato da molte buone notizie: vittoria dell'esercito francese a Laeucate di Linguadoca e La Capelle nell'Harmant, e quelle degli alleati svedesi in Olanda. 

Anna sa leggere nel cuore dell'odiato consorte, e vede crescere lo spettro del ripudio e l'icubo del monastero. Persino il Papa Gregorio XV, Alessandro Ludovisi, fondatore dellaa congregazione <<de propaganda fide>> per promuovere l'azione missionaria della Chiesa cattolica nel mondo, è intervenuto nel loro ménage, li ha redarguiti e ha intimato loro di fare un figlio. Ma tutto è stato inutile: Anna non ci è riuscita. Ha provocato un primo aborto nel 1622 con imperdonabile leggerezza. Correva spensieratamente per le gallerie del Louvre, inseguendo la perfida istigatrice di tutti gli intrighi, Madame de Chevreuse: è caduta come una ragazzina dispettosa e ha perso il bambino. Un'altra gravidanza si rivelerà sfortunata nel 1630.

Madame de Chevreuse è stata la mente di tutti i suoi disgustosi complotti. Anna sogna di rimanere vedova per poter assumere il titolo di reggente al fianco del fratello di Luigi, il principe Gastone d'orléans, chiamato <<Monsieur>>.
Ma il sovrano adesso si distrae con Louise de La Fayette. E' il suo <<angelo>>. il suo <<giglio>>. Se ne invaghisce nel marzo 1635 quando lei ha diciannove anni. Dama di compagnia di Anna, questa giovanetta scontrosa e poco socievole, con la sua sconvolgente bellezza bruna ha turbato Luigi. E a poco a poco sloggia dal suo cuore l'altezzosa, petulante Marie de Hautefort, una bellezza sportiva, oggi diremmo <<casual>>. Louise canta bene, balla con stile, la sua indole felice e solare ha sedotto il re. Luigi non s'innamore facilmente specie delle donne, ma quella dolcezza bruna lo ha stregato. 

Richelieu teme gli intrighi di Marie e di conseguenza getta il suo signore nelle braccia di Louise, che è una ragazza saggia, dolce e sottomessa, pia e casta, capace di ascoltare con attenzione le interminabili confidenze del re, che la mette a parte di tutti i suoi cupi umori. 

Luigi XIII è più che mai posseduto dall'immagine di Louise. Soltanto il cielo, è degno di accogliere tanta perfezione. E la supplica: <<Vi porterò a Versailles, esigo che siate completamente mia>>. Al che la vergine spaventata si fa un gran segno di croce.
Luigi si è pentito. Tetra psicologia di mistico, ora vuol espiare il terribile peccato di desiderio che lo ha ossessionato. Per cui accetta il supremo sacrificio: Louise, per sua volontà, si rinchiuderà in un monastero. 

La ragazza, il 19 maggio 1637, si rifugia nel convento delle Figlie della Visitazione, le visitandine, di Sainte-Marie in rue Saint-Antoine a Parigi. E' un ordine fondato da Jeanne-Françoise de Chantal, nonna della marchesa Marie de Rabutin-Chantal, Madame de Sévigné. Il re piange e rimane a letto spossato per cinque giorni. Ma la decisione della pia bellezza è irrevocabile. La novizia non ha ancora compiuto vent'anni. 

L'autunno del 1637 è carico di scontento. Dentro il Louvre Anna d'Austria vegeta murata nella sua solitudine. Sa che il suo destino è profondamente incerto. A Versailles il re non è meno cupo. Si tortura tra mille dubbi e, pur essendo giovane, è tormentato da molti mali fisici che i medici di corte curano con abilità. 
Nel pomeriggio del 5 dicembre, stremato da una giornata di emicranie e furori, decide improvvisamente di consolarsi facendo visita alla sua bella suora. Si sposta da Versailles a Parigi, dove ci sono sia Louise sia la regina, ma non certo per vedere la moglie. Ha avvisato i principi di Condé che passerà da loro a dormire nella tenuta di Saint-Maur, dodici chilometri a sud-est di Parigi. E, secondo l'uso dell'epoca, poiché l'ospite deve servirsi solo dei propri oggetti, si fa precedere nella villa degli amici dal suo letto con le sue lenzuola, dai mobili e dagli arredi della sua stanza, dalle stoviglie della sua tavola e persino dalla sua servitù. 


Armand-Jean du Plessis de Richelieu


Luigi XIII avanza nell'oscurità del convento. E' un bell'uomo, ha il viso lungo, gli occhi scuri e <<il labbro austriaco>> degli Asburgo che gli viene dalla nonna meterna. Giovanna d'Austria. Con i baffi fieri e il pizzetto, sembra un moschettiere. Ha trentasei anni e l'aria autorevole, ma anche stanca e infelice. E'solito confidare tutto al suo gran ministro, Richelieu, ma non gli racconta queste visite. Il cardinale, ovviamente, ne è informato lo stesso e disapprova l'intimità del sovrano con la noovizia; per dii più sa che lei gli è ferocemente ostile.

Dall'altro lato dell'inferriata appare la giovane donna. Ha gli occhi azzurri di cielo e le s'intravvedono i capelli castani scuri tagliati corti. Il re si avvicina al divisorio e comincia a parlare rapidamente, con inattesa dolcezza. 
A distanza rispettosa attendono i gentiluomini del seguito. Sanno cosa dice il loro signore ma si impongono di rimanere fuori dalla portata delle voci dei due interlocutori. La grata di un parlatorio non può fermare in alcun modo un <<figlio di Francia>>. Il re potrebbe passare di là e sedersi accanto a Louise. Ma è un uomo assai pio e timorato e si rifiuta di sfruttare il privilegio che gli consentirebbe di valicare quella barriera. Preferisce rimanere dall'altra parte e rivolgersi alla religiosa a voce bassa, con compunto rispetto. 

A Louise, Luigi confida tutto: paure, ansie, tormenti, crucci a volte puerili. Anche la novizia parla molto e introduce argomenti che le stanno a cuore. Lo prega di essere più dolce verso la regina, di darle lo stesso affetto che vorrebbe dare a lei. La sovrana merita la sua fiducia, dice la bella Louise: Richelieu no. La timida giovane si assentra nei meandri della politica estera: il re ripudi quella del cardinale, rinneghi l'Olanda protestante e i principi tedeschi; faccia pace con la cattolica casa d'Austria, richiami dall'esilio sua madre. La politica di Louise coincide con la moralità cattolica del convento. 

Mentre le ore fuggivano come grani del rosario; è scoppiato un violento temporale: torrenti di pioggia spazzano le strade di Parigi, dai vicoli ancora medievali; il vento soffia sulle lanterne e le spegne; il nevischio turbina nell'aria. Il capitano delle guardie François de Cominges, conte di Guitout, che guida la scorta del re, è stato in guerra con lui a Susa nel 1629. Ma soprattutto è uno dei pochi devoti della regina. E' preoccupato per i reumatismi; i suoi e quelli di Luigi, che soffre normalmente di reumi, gotta e insonnia. Una lunga galoppata sotto quell'acquazzone gli provocherà la febbre. 

La sovrana accoglie il marito con il più luminoso dei sorrisi. Anna d'Austria ha trentasette anni, è bella, alta, di forme piene. Ha le mani più bianche e più belle d'Europa. 
E' vero che lei di solito segue l'uso spagnolo: si mette a tavola alle dieci o alle undici: mentre il re alla francese, lo fa alle sette o alle otto. Ma quella notte Anna ordina la cena presto, per due.  
Consumano insieme le vivande. i cortigiani sbalorditi non ricordano da anni tanta cordialità tra i due coniugi. Non si vedono da settimane e il re non ha voglia di parlare. L'atmosfera però è serena: Luigi mangia poco ma trova il cibo squisito; Anna fa onore alla sua reputazione di buona forchetta ed è commossa dalle attenzioni del consorte. 
Da sette anni, come dicono le malelingue di corte e riportano i memorialisti, cioè dall'ultimo aborto del 1630 e dai mesi tempestosi che sono seguiti, non dormono insieme, e la regina ha sempre sofferto perché non riesce ad avere un figlio. E ora è arrivato il momento di riposare, ma, come Luigi prevedeva, per lui non c'è né camera né giaciglio; così si mette un secondo guanciale nel gran letto matrimoniale della regina, l'unico ampio e confortevole in quel palazzo plumbeo dalle sale gelate. 

Con gesti impacciati Luigi indossa il camicione da notte e calza un paio di pantofole azzurre. Il primo cameriere lo ha preceduto nella stanza dove Anna riposa, reggendo una fiaccola che fa riverberare sulle pareti spettrali una luce carica di auspici. 
E così a Parigi, quella notte del 5 dicembre del 1637, a causa di un temporale, delle premure di una novizia e dell'astuta insistenza di un soldato, il re e la regina dormirono insieme e diedero vita al figlio che sarà il Sole. 

Il buon padre Griffet, nel 1768, scrivendo la sua Histoire du règne de Luois XIII, roi de France et de Navarre, annotava: <<Da tutti i monasteri in quell'ora si levarono preghiere>>.
Il re si trattiene al Louvre fino all'alba. Anna d'Austria si alza qualche ora più tardi e riceve il superiore dei francescani, esultante: <<Un umile frate del nostro ordine ha appena ricevuto dal cielo un segno che una grazia, e la più attesa, è stata accordata da Dio ai francesi>>. 
Il 20 gennaio 1638, la <<Gazette>> di Théophraste Ranaudot, uno dei primi giornali importanti d'Europa, sostenitore della politica di Richelieu, dà la favolosa notizia: la regina, dopo ventiduue anni di matrimonio è incinta! E sarà la volta buona. 

E' un fulmine a ciel sereno. Principi e grandi del regno si precipitano al castello di Saint-Germanin-en-Laye per presentare le proprie felicitzioni alle loro maestà. Tutti ostentano gioia, ma molti nascondono stupore e stizza. Il più scornato è <<Monisieur>> il fratello di Luigi che aveva sperato seriamente di arrivare al trono. il suo sorriso forzato somiglia a una smorfia cadaverica. 
Scrive la <<Gazette>> in data 30 gennaio 1638.
Tutti i principi, signori e popolo sono venuti a congratularsi con le loro Maestà a Saint-Germain per le loro speranze di un lieto evento del quale, con l'aiuto di Dio, vi daremo notizia presto. 

All'assai sbandierata esultanza della nazione non corrisponde alcun moto di commozione o alcun gesto di tenerezza fra i due sposi. Si direbbe anzi che sulla testa di Anna si addensino nubi ancora più minacciose. 
Marie de Hautefort, che le è profondamente devota, trema di paura. Sa che la gravidanza sarà assai diffciile e moltiplica gli sforzi per tenere l'amata regina al riparo da ogni tempesta. Le è ben noto che il re è sempre molto sensibile alla sua bellezza e al suo spirito vibrante, spavaldo di donna del Périgord. 
La dea dell'amore della Francia è sempre lei, per unanime riconoscimento popolare. Lo dice persino una poesia:
Hautefort la meraviglia
di Luigi
tutti i sensi risveglia
quando sulla bocca vermiglia 
le compare un sorriso. 

Luigi quando la trova, non manca mai di affliggerla con tediosissimi racconti di caccia. Marie pensa al bene che può venirne ad Anna e si adatta a quella noia mortale. Il suo sacrificio è però vano. 
A tre mesi dal concepimento Luigi e Anna si sono rimessi a litigare. I gentiluomini, le donne e i servitori assistono allibiti a quella doccia scozzese: teneri baci, complimenti, civetterie e giochi di società sono seguiti all'improvviso da insulti immotivati, scenate, rimbrotti e confessioni. Richelieu va tenuto al corrente ora per ora dalle sue spie di queste battaglie coniugali. Dovrebbe occuparsi solo della Guerra dei Trent'anni, invece è impegnato a mediare tra due sposi che si odiano. 
Il 22 aprile Anna segna un punto a suo favore: annuncia di aver sentito muoversi e scalciare nel suo grembo <<il frutto regale>>. Il popolo si emoziona per questo bagliore di vita più che per la contemporanea conquista militare della Guadalupa. Luigi vuol mostrare la sua magnanimità e ordina di festeggiare l'evento con una gran festa all'arsenale. L'ermellino solenne e la veste scralatta del cardinale fendono la folla in delirio: Richelieu segue con occhio di falco l'esplosione dei fuochi d'artificio e vi legge un presagio: <<Sarà maschio>>.

Il 19 agosto un messaggio urgentissimo dei medici, richiama Luigi a Parigi. Luigi torna a spron battuto, sperando che il bimbo, atteso per il 15, sia finalmente nato, ma con sommo disappunto vede che non è successo niente. 
Per il lieto evento c'è ancora tempo. E allora il re scrive subito al cardinale Ruchelieu una lettera che rivela in pieno i suoi pregiudizi contro le donne:
Avrei preferito non arrivare a Parigi in anticipo ed essere ancora in Piccardia. Domani, 20 agosto, andrò a Versailles e vi resterò due o tre giorni. Mi hanno dato notizie sbagliate. Ho scoperto che il sesso femminile è totalmente sprovvisto di buonsenso ma in compenso è sommamente imepertinente. Mi ha infastidito il fatto che la regina non abbia ancora partorito perché questo mi preclude la possibilità di tornare in Piccardia, se lo ritenete giusto, o altrove. Andrei dovunque pur di essere fuori portata di tutte queste abominevoli femmine. 

Il luogo scelto per il grande evento è il castello reale di Saint-Germain-en-Laye, ventun chilometri a ovest di Parigi. Dimora di re di Francia fin dai primi Capeti, è stata la residenza reale più frequentata di Enrico IV, insidiata poi da Versailles. Molte ragioni spiegano questa predilezione: il maniero è a sole tre ore di cavallo dalla capitale, è un luogo di vertiginosa bellezza in un pianoro che strapiomba sulla valle della Senna, offre foreste, selvaggina, salubre aria di campagna, ed è custodito come una fortezza. 

E' il 5 settembre 1638, domenica mattina. La natura è più precisa dei medici. Sono trascorsi esattamente nove mesi da quell'imprevista notte d'amore tra il re e la regina, e il ciambellano trafelato corre dal re: <<Maestà, la regina ha le doglie!>>.
E' un frenetico accorrere di potenti attorno al letto regale: i principi del sangue; le grandi dame buttate giù dal letto, la contessa di Soissons, che ha sposato Tommaso Francesco di Savoia, principe di Carignano; la duchessa di Vendome, rappresentante della più grande famiglia aristocratica di Francia; la connestabile di Montomorency, orgoglio di una casa che darà quattro marescialli alla Francia; Marie-Catherine de La Rochefoucauld marchesa di Sénécé, che sarà la seconda governante di Luigi XIV. Il fratello del re Gastone d'Orléans, <<Monsieur>>, torce il collo come a difendersi da un sopruso. 
Il parto si presenta subito difficile. Gli occhi sbarrati dei cortigiani svelano che si teme per la vita della regina. Il vescovo di Lisieux, Philippe de Cospéan, le fa sentire per due volte la messa, per porla saldamente sotto la protezione di Dio. 
Marie de Hautefort, letteralmente terrorizzata, piange in silenzio in un angolo della stanza dove la sua amica soffre. La giovane manifesta finalmente tutto il suo disprezzo per Luigi XIII, che a suo giudizio non si mostra abbastanza trepidante per la sorte della sposa. <<Volete che si salvi il bambino sacrificandola?>> grida Marie indignata e disperata. <<Avrete modo di rimpiangere la madre!>>. 
Ma il cielo ha disposto diversamente. Sono le 11.45 o, secondo altri documenti, le 11.22 del 5 settembre 1638. La levatrice Madame Péronne solleva in alto un corpicino rosato tutto umido che pesa poco più di quattro chili e lo presenta trionfalmente al sovrano e alla corte. E' un maschio ed è colui che sarà il Re Sole, il dominatore dell'Europa del Seicento, il creatore dello Stato assoluto. Tanta responsabilità per un esserino gocciolante. E' Madame de Sénécé la prima a lanciare un grido profetico: <<E' un Delfino>>. 

La campana di Notre-Dame suona a distesa: il cannone tuona centoventuno volte. Cinquanta corrieri fanno schiattare i loro destrieri galoppando a spron battuto per portare la grande notizia in ogni angolo della Francia. 
Luigi contrariamente alla sua natura cupa, è pazo di gioia: s'inginocchia davanti all'altare della cappella reale, rende grazie al cielo, ma, disumano come sempre, non accenna ad alcun gesto affettuoso verso la moglie, <<Dovemmo spingerlo a viva forza>> racconta un cortigiano <<perché si avvicinasse al letto e la baciasse>>.
La levatrice, Madame Péronne, gli proge il figlio e orgogliosamente gli fa notae che il bambino è nato con due denti. 
Nella <<Gazette>> di Théophraste Renaudot, fondatore del giornalismo, appare così la notizia: 
Questa nostra virtuosa regina doopo un travaglio di alcune ore ha parorito oggi 5 settembre, 1638, poco prima di mezziogiorno nel Castello Nuovo di Saint-Germain-en-Laye mettendo al mondo un principe che la bellezze e la compita armonia di tutte le parti del suo corpo con rendono meno amabile di quel maschio vigore che riluce già attraverso le sue membra infantili. 

Il Delfino viene battezzato sotto condizione (non è ancora il battesimo ufficiale) dal vescovo di Meaux, Monsignor Dominique Séguier, primo cappellano del re, che gli versa sul capo alcune gocce di acqua benedetta per fare di lui un cristiano. Solo al battesimo definitivo riceverà l'intera sfilza di nomi, per ora viene chiamato semplicemente Luigi. 
Elizabeth de La Giraudière gli proge il seno opulento e l'infante regale succhia animosamente. Françoise de Souvré, marchesa di Lansac, regge il prezioso fardello e lo riporta negli appartamenti reali. Ai lati della galleria trionfa una gran festa di rosso e di oro. I mitici moschettieri del re, il corpo di d'Artagnan, aitanti nella divisa scarlatta e fieri del gagliardo pennacchio, presentano le spade luccicanti. In quel momento Louis <<Dieu donné>>, Luigi dato da Dio, così detto per la sua nascita non più attesa e quasi miracolosa, per la prima volta passa in rivista dei soldati. 

Il re ha ordinato che il suo popolo sofoghi la gioia in una festa grande. Per tre giorni nelle vie e nelle piazze si susseguono danze e concerti: la notte è percorsa da vividi bagliori, i falò rischiarano il passaggio dei carri di trionfo, si distribuiscono prosciutto e paté, si migliora l'illuminazione. Nel cielo sopra la mitica place de Gréve, i fuochi artificiali disegnano una roccia con la sommità avvolta da nubi attraversate dai raggi del sol levante. 

Fra i quattordici antenati più vicini, tutti, meno due, hanno cinto la corona. Nella linea ci sono gli imperatori Carlo V e Massimiliano d'Asburgo. Dai Medici (anche Caterina, moglie di Enrico V, è tra le sue ascendenti) Luigi eredita il gusto delle arti e una disposizione alla raffinata violenza. Il sangue degli asburgo gli viene dalla madre, Anna d'Austria, figlia di due Asburgo e anche della nonna, Maria dé Medici, figlia dell'arciduchessa Giovanna d'Austria. Il sangue dei Borboni gli viene dal nonno Enrico IV. Eredita il carattere dei Borboni: gaio, <<fisico>>, aperto, sensuale, amante della vita. Mentre gli Asburgo tendono ad essere chiusi e introversi, cupi e gretti, portati alla bigotteria religiosa. 

L'astrologo reale, Michel-Jean-Baptiste-Morin commentò che il bambino era nato sotto il segno della Vergine: una splendida coincidenza, perché Anna d'Austria era assai devota alla Madonna. Si notò subito che il bimbo sfoggiava un gagliardo appetito, una caratteristica dei Borboni, eccezionale in Enrico IV, che piacque moltissimo alla corte e al popolo. La regina si affrettò a far fare l'orscopo anche da uun certo Campanella, che era stato prigioniero dell'Inquisizione. In quest'occasione il mago ebbe modo di esaminare in delfino tutto nudo: questo ragazzo sarà lussurioso come enrico IV e assai superbo. Regnerà a lungo e con fatica, tuttavia felicemente. Alla fine ci sarà grande confusione nella religione e nell'impero. 

C'è un mistero in quella nascita inopinata, si sussurra nel 1638 nella maligna Perigi. E se il Re Sole fosse un bastardo, un dono artificiale dovuto all'ennesima macchinazione della regina?
Un'incauta vox populi che il padre possa essere il duca di Buckingham o Antonio di Borbone, conte di Moret, uno dei fratelli <<bastardi>> di Luigi XIII. Ma il miracolo sarebbe davvero tale, in quanto i due gentiluomini sonoo morti ben prima che Luigi sia stato concepito. E se fosse Giulio Mazzarino? George Pagés, in un libro del 1939, La guerre de Trente Ans, sostiene che al tempo della Fronda Anna d'Austria e il cardinale si batterono epicamente per il piccolo Luigi XIV: naturale difendevano il trono di... loro figlio! Favole. Mazzarino, nell'autunno 1637, era ancora in Italia. Arrivò alla corte di Francia soltanto il 5 gennaio 1640, quando Luigi aveva un anno e mezzo. 

La Storia si vendicò delle intenzioni recondite di chi aveva spinto per questa nascita. C'erano in giro molti nemici del cardinale: dalla novizia Louise de La Fayette all'impetuosa Marie de Hautefort alla regina stessa. Queste persone erano convinte che, da una riconciliazione tra moglie e marito, il potente ministro sarebbe uscito danneggiato. Non doveva andare così. Richelieu attribuì alla riappacificazione dei suoi padroni e la nascita del Delfino proprio alle sue arti diplomatiche e ne uscì più potente che mai, surclassando il <<partito spagnolo>> dei suoi nemici. 

Nel 1637-38 Luigi XIII e Richelieu entrambi in pessima salute, sarebbero morti presto, ma erano consapevoli di avere messo in moto un grande progetto, un'idea modern di Stato, di centralità amministrativa e di conquista dell'Europa. Tutto questo era destinato a sopravvivere alle loro esistenze mortali

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martedì 24 ottobre 2017

Dracula. La campagna del 1445 sul Danubio, Il conflitto con Giovanni Hunyadi e la morte di Vald Dracul, Vladislav II sul trono della Valacchia

Dracula 


Vladislav II


La campagna del 1445 sul Danubio 

Mircea comandava un corpo di spedizione che seguiva le galere a cavallo, lungo le rive del Danubio e, quando ve n'era bisogno sulle piroghe monoxile, barche scavate in un tronco d'albero. Si trattava dello stesso genere di imbarcazioni che nel 32 a.C. Alessandro Magno aveva trovato sulle rive del Danubio e che neli anni Sessanta si potevano ancora vedere in Romania! Wavrin le chiama manocques e dice che sembrano <<come una ghianda lunghe e strette, e dentro c'erano molti Valacchi, in una più, in un'altra meno>>. 
Durante questa campagna vennero assediate le piazzeforti di Silistra (Dristra), Turtucania (Tour Turcain), Gurgiu, Rusciuc (Rossico) e Nicopoli. I romeni esultarono vedendo i danni causati sa un'enorme bomabarda borgognona. Purtroppo quando i Borgognoni gliel'affidarono affinché continuassero a tirare, i Valacchi la fecero esplodere. 

A Rusciuc 12.000 Bulgari, uomini, donne e bambini, chiesero al principe della Valacchia di potersi stabilire nel suo paese, e Vlad Dracul acconsentì senza problemi. Inoltre, Vlad attraversò il Danubio per scacciare i soldati chhe volevano ostacolarli e chiese alle galere di far loro attraversare il fiume. L'operazione durò tre giorni e tre notti e i Borgognoni stupiti  dal loro aspetto, <<dicevano che erano gente simile agli Egiziani>>. Si trattava di Zigani. Vlad Dracul, il cui paese in certe zone era poco popolato, fu oltremodo contento dell'esito di questa campagna. 
A Giurgiu, conquistata quasi intatta, la situazione divenne drammatica. I Turchi avevano accettato di arrendersi a condizione di potersi tenere le armi e aver salva la vita. Fu allora che Mircea chiese un colloquio privato con Walerand de Wavrin, al quale confidò che il subasi che aveva ingannato suo padre con un falso giuramento e causato la sua cattura nel 1442 si trovava tra gli assediati. 

Dopo aver attaccato i loro cavalli per la coda i Turchi attraversarono il Danubio con le monoxile e arrivarono alla riva bulgara. I Turchi, dunque, oltrepassata l'acqua, montarono sui loro cavalli. Ma non avanzarono quasi che il suddetto figlio della Valacchia li sorprese con la sua imboscata e li mise tutti a morte. E il subasi che aveva tradito suo padre venne portato al suo cospetto ancora vivo. Dopo che gli ebbe recitato il tradimento, gli troncò la testa con le sue stesse mani. Poi non appena i Valacchi ebbero spogliato i Turchi dei loro averi, li disposero tutti nudi sulla riva del fiume. 

Il 12 settembre le galere giunsero a Nicopoli. L'appuntamento con l'esercito ungherese era stato fissato per il 15 agosto, ma Giovanni Hunyadi non si era ancora presentato. Venne allora deciso di assediare Nicopoli e di radere al suolo una grande torre che aveva albergato le truppe di akindjis quando razziavano la Valacchia. Wareland de Wavrin, malato e ferito, era costretto a letto. Fu in questo frangente che il precettore del principe Mircea si recò da lui e gli riferì i suoi ricordi della crociata del 1396: 
"E mentre le bombarde infuriavano, il precettore del figlio della Valacchia, che aveva ottant'anni, andò a trovare il signor de Wavrin e gli disse: <<Sono passati circa 50 anni da quando il re d'Ungheria e il duca Giovanni di Borgogna (Giovanni Senza Paura) assediarono questa città di Nicopoli, e il luogo della battaglia si trova a meno di tre leghe da qui. Se riuscite ad alzarvi e a venire a questa finestra vi mostrerò il luogo e come avvenne l'assedio>>. Allora il signor de Wavrin si fece portare alla finestrella. Ed egli raccontò al signo de Wavrin come si svolse tutta la battaglia, e come venne fatto prugioniero dei Turchi, e venduto schiavo ai Genovesi, dove aveva appreso la lingua che parlava."

Giovanni Hunyadi con un breve consiglio di guerra decise di abbandonare l'assedio di Nicopoli, che rischiava di andare per le lunghe, e di risalire il Danubio fino al suo confluente Jiu, dove gli Ungheresi avevano approntato delle imbarcazioni a fondo piatto per la traversata di uomini, armi e cavalli. La stagione era avanzata, il giorno di san Michele (29 settembre) si stava avvicinando, e gli Ungheresi erano ancora intenzionati as andare a combattere i Turchi. Infine le truppe del sultano, ammassate sulla riva destra del Danubio, si ritirarono bruciando tutto alle loro spalle. 

Senza altro grandi confronti si concluse la campagna del 1445, condotta dalla flotta borgognona e dall'esercito valacco. Giovanni Hunyadi suggerì che le galere partissero in tempo per evitare i ghiacci del Danubio (era il 1 ottobre9, dopo do che gli Ungheresi si ritirarono in Transilvania. Walerand de Wavrin e i suoi compagni arrivarono sani e salvi a Costantinopoli, dove l'imperatore Giovanni VIII Paleologo fece loro una buona accoglienza e offrì dei regali. Da lì raggiunsero Venezia dalla quale partirono a cavallo per Roma, e infine Lilla, dove il duca di Borgogna apprese la loro odissea. 

Il conflitto con Giovanni Hunyadi e la morte di Vald Dracul

Vlad Dracul rimase isolato davanti a un'eventuale reazione dei Turchi, che però non avvenne. Murad II si era ritirato in Asia minore e aveva affidato le faccende dell'Europa al figlio Maometto, il futuro conquistatore di Costantinopoli. Murad II tornò a occuparsene nell'autunno del 1446 e avendo firmato un trattato di pace con Venezia, ebbe le mani libere per combattere in Grecia nell'inverno del 1446-1447. Il sultano passò l'estate seguente ad Adrianopoli e Vlad Dracul, sempre in cattivi rapporti con Giovanni Hunyadi, decise di fare nuovamente la pace con i Turchi. Il trattato ristabilì la situazione del 1444 e il principe valacco dovette rimandare in Bulgaria quattromila rifugiati. 

Nel giugno del 1446 la Dieta aveva eletto giovanni Hunyadi governatore generale dell'Ungheria in nome del re minorenne Ladislao il Postumo, il quale non aveva ancora compiuto nemmeno sette anni. Con questo nuovo titolo Hunyadi si stava accingendo a un'impresa di grande portata contro i Turchi e la defezione di Vlad Dracul dovette profondamente irritarlo; non tanto per il fatto in sé, riteniamo, bensì per l'espressione d'indipendenza della Valacchia nei confronti dell'Ungheria che rappresentava quest'iniziativa di politica estera. E' vero che, formalmente, tra l'Ungheria e l'Impero ottomano sussisteva uno stato di guerra, anche se, al mommento, i due avversari si limitavano a osservare i rispettivi movimenti. 

Un'altra ragione alimentava il conflitto tra Hunyadi e Vlad Drcul, e andava al di là delle opzioni strategico-politiche toccando il cuore stesso dei loro interessi: si trattava del problema della circolazione monetaria tra i due paesi. Infatti, a partire dal 1383-1386, i principi della Valacchia avevano allineato le loro monete a quelle ungheresi: il ducato e il ban valacchi d'argento valevano rispettivamente un denier (dinato) e una obola ungheresi. Quest'elemento era un indubbio simbolo di vassallaggio poichè, nello stesso periodo, la vicina Moldavia, vassalla della Polonia, allineva la sua moneta a quella polacca. A ogni modo l'incremento delle esigenze finanziarie nei periodi di crisi polacca (guerre, eccetera)costringeva gli stati ad aumentare l'emissione di moneta metallica per poter retribuire i mercenari, i funzionari, finanziare le fortificazioni, eccetera. Poiché le riserve di metallo prezioso (oro o argento) erano limitate, le officine monetarie ridussero le proporzioni di questi metalli nelle monete aggiungendovi rame e piombo, pur decretando un corso (rispetto alla moneta d'oro) immutato, se non addirittura - se erano avidi - superiore alle vecchie monete. Queste ultime venivano ritirate dalla circolazione e scambiate con le nuove monete al tasso ufficiale. 

Sul piano degli scambi internazionalim quando due paesi utilizzano la stessa moneta, il più forte impone la sua moneta alterata che il più debole è costretto ad accettare. Molte alterazioni monetarie, però, venivano realizzate in segreto e, prima che venisse scoperta l'operazione, il paese vassallo vedeva sfuggire la propria buona moneta oltrefrontiera e si ritrovava così con la cattiva, accusando in tal modo una grave perdita di metallo prezioso. Nel caso che ci interessa, le successive svalutazioni della moneta ungherese sotto i regni di Sigismondo di Lussemburgo (1387-1437), di Alberto d'Asburgo (1438-1439) e di sua moglie Elisabetta, di Ladislao I (1440-1444) e infine durante la reggenza di Giovanni Hunyadi (1444-1452), fecero drammaticamente crollare il valore del denier d'argento. Nel 1436 occorrevano 500 denier per ottenere un fiorino d'oro. Sigismondo di Lussemburgo ordinò allora l'emissione di un nuovo denier al corso imposto di 100 denier per un fiorino, ma la svalutazione avvenne ugualmente nel febbraio del 1441 una moneta venne battuta al corso di 220 denier per un fiorino, prima di essere nuovamente svalutata in luglio a 300 denier sempre per un fiorino. Queste alterazioni sucessive della moneta ungherese penalizzavano la Valacchia e la sua economia. Fu in reazione a tutto questo che Vlad Dracul intraprese una vera e propria politica monetaria. Per quanto ne sappiamo fu il primo principe di questo paese ad agire in tal modo. Da una parte tentò di bloccare l'esportazione delle buone monete e del metallo prezioso, dall'altra, proibì l'entrata massiva delle monete alterate. 

Vlad Dracul commise a questo punto un fatale errore politico: chiuse il suo paese alla moneta ungherese. Per rappresaglia Hunyadi scatenò una guerra lampo a sud dei Carpazi. Vlad Dracul e suo figlio Mircea vennero catturati e giustiziati. Tutto ciò accadde tra il 23 novembre e il 4 dicembre 1447. In tale data Giovanni Hunyadi promulgò a Trgoviste, capitale della Valacchia, un atto nel quale si titolava governatore dell'Ungheria e, per grazia di Dio, voivoda della Valacchia (parcium Transalpinarum). Due mesi più tardi, il 28 febbraio 1448, di ritorno dalla Transilvania, avrebbe ricompensato uno dei suoi fedeli per il sangue versato contro vari nemici, tra cui <<l'infedele Vlad voivoda della Valacchia>>. 

Vladislav II sul trono della Valacchia

Al posto di Vlad Dracul, Giovanni Hunyadi insediò sul trono valacco un figlio di Dan II, Vladislav II che, a quanto sembra, aveva già tentato la fortuna una prima volta, tra il giugno e il luglio del 1447. 
All'intervento di Hunyadi in Valacchia fce seguito una campagna militare in Moldavia, durante la quale, tra il 23 febbraio e il 5 aprile 1448, l3 truppe ungheresi ristabilirono sul trono il principe Pietro II. In cambio, il principe moldavo cedette al suo protettore la fortezza di Chilia, situata sulla foce del Danubio, il suo braccio settentrionale. 

Il 29 giugno 1448, festa degli apostoli Pietro e Paolo, il sultano Murad II tentò un colpo di mano contro Costantinopoli dal mare, con sessantacinque battelli. Respinta dai Bizantini, la flotta ottomana risalì la costa occidentale del Mar Nero e assediò Chilia, il suo valore strategico farà dire a Bayezid II, qualche decennio più tardi, che essa era <<a chiave e la porta di tutta la Moldavia, l'Ungheria e il Danubio>>. Le truppe ottomane sbarcarono con l'intento di assediare Chilia ma la flotta ungherese, giunta nel frattempo con le truppe romene inflisse loro una sanguinosa sconfitta e ne incendiò le imbarcazioni. 

L'iniziativa partì ancora una volta da Giovanni Hunyadi. Nel settembre del 1448 passò il Danubio alla testa di un esercito formato da Transilvani e Ungheresi ai quali si sarebbero aggiunti un contingente moldavo di tremila cavalieri e le truppe valacche guidate da Vladislav II, che includevanoo 4000 arcieri eccellenti. 

Si narra che nel vedere il campo ottomano Giovanni Hunyadi abbia scritto al sultano una lettera di questo tenore: <<Sultano, io non ho così tanti uomini quanti ne hai tu, ma anche se essi sono meno numerosi, sappi che sono bravi, fedeli, onesti e valorosi>>. E Murad II avrebbe così risposto: <<Iancu preferisco una faretra piena di frecce normali  piuttosto che sei o sette frecce dorate!>>. Enea Silvio Piccolomini, il futuro Papa Pio II, scrisse che Hunyadi avrebbe catturato una spia turca e, seguendo l'esempio di Scipione, l'avrebbe rimandata indietro sana e salva dopo averle fatto visitare il campo!

Il 17, 18 e 19 ottobre Giovanni Hunyadi affrontò a Kosovopolje le truppe di Murad II e i Turchi riportarono ancora una volta la vittoria. Dopo quest'accanita battaglia il sultano fece riunire le teste dei vinti e ne fece una grande piramide, un'antica usanza asiatica che perdurerà sino al XIX secolo. 
Hunyadi travestito da soldato semplice, era riuscito a fuggire, ma venne catturato dagli uomini del despota serbo Giorgio Brankovic, che aveva negoziato la pace con i Turchi. Hunyadi ritrovò la libertà pagando un riscatto. In quanto a Vladislav II, lo aspettava una brutta sorpresa: in sua assenza, sul trono della Valacchia si era insediato un figlio di Vlad Dracul, appoggiato da un corpo di Spedizione ottomano: Vlad Dracula. 

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giovedì 19 ottobre 2017

Dracula. Un principe e i suoi figli. Ladislao, re di Polonia e d'Ungheria. Giovanni Hunyadi, difensore del confine transilvano. Vlad Dracul, prigioniero dei Turchi. Il disastro di Varna

Dracula

Un principe e i suoi figli

Ladislao, re di Polonia e d'Ungheria



Ladislao il Jagellone 


La morte dell'imperatore-re gettò l'Ungheria nell'anarchia. La regina Elisabetta, incinta, mantenne il trono per tre mesi e poi diede alla luce un figlio, Ladislao, detto <<il Postumo>>, che avrebbe ereditato la corona. Era però necessaria una reggenza e fu al nuovo duca d'Austria, Federico d'Asburgo (eletto re di Germania nel febbraio 1430, poi imperatore), cugino di secondo grado di Alberto, che si rivolse al partito di Elisabetta. Ma la maggioranza della nobiltà ungherese scelse invece Leopoldo II, re di Polonia (1434-1444), ed Elisabetta dovette rifugiarsi a Vienna. Il paese aveva bisogno soprattutto di un scovrano energico che fronteggiasse il pericolo esterno. 

Ladislao Jagellone, nuovo re d'Ungheria e di Polonia nominato re a Buda nel gennaio del 1440 (ma incoronato solo in luglio), era deciso a combattere i Turchi senza tregua graie alla fusione delle risorse militari dei suoi regni. Pur combattendo contro Federico III e suoi partigiani lungo il confine occidentale dell'Ungheria, Ladislao riorganizzò anche la difesa meridionale del paese. Per far ciò si ispirò al modello che i suoi predecessori sul trono della Polonia - Lituania, avevano, attuato contro la minaccia tartara, in special modo in Podolia. Questa regione, conquistata ai Tartari dal granduca Oligierd di Lituania nel 1362-1363, era stata affidata a tre fratelli, appartenenti alla famiglia dei Korjatowicz, con l'incarico di organizzarvi la difesa e la colonizzazione. Nel 1430, al momento dell'occupazione della provincia da parte della Polonia, il re Ladislao Jagellone, ripetè l'operazione e vi insediò la famiglia Buczacky, rappresentata dai fratelli Michele, Teodorico e Michal-Muzylo, che riunivano nelle loro mani le stesse funzioni politiche e militari dei Korjatowicz un secolo prima. 

Giovanni Hunyadi, difensore del confine transilvano



Nel 1440 il problema vitale, per l'Ungheria era la difesa del confine meridionale delimitato dal Danubio, la Sava e i Carpazi meridionali. Questa zona di oltre ottocento chilometri sboccava a ovest sulla Croazia e la Slavonia che erano nelle mani dei maggiori partigiani di Federico III. Gli uomini scelti per condurre a buon fine quest'arduo compito di difesa furono Nicola Ujlàki, nominato conte di Temes (Timis), per la parte occidentale; e Giovanni Hunyadi (Iancu de Hunedoara), nominato ban (marchese) di Severino  e voivoda della Transilvania, per la parte orientale. L'anno seguente i duue uomini condivisero parimenti i titoli di conte di Temes e di voivoda della Transilvania. 

Giovanni Hunyadi (1404 o 1405-1456) riuniva un sé l'incontro di diversi mondi. Era nato in una nobile famiglia romena della Transilvania sudoccidentale, dove si trovava la proprietà di Hunydai (Hunedoara, in romeno) donata al padre dall'imperatore Sigismondo per i suoi servigi nelle guerre contro i Turchi (1409). Come molti giovani nobili attirati dal mestiere  delle armi Giovanni aveva prestato servizio agli ordini di vari magnati del regno d'Ungheria, in special modo, del condottiero Filippo de' Scolari, conte d'Ozora, incaricato della difesa del banat (marca) di Severino. Tra il 1431 e il 1433 Giovanni Hunydai fece parte della cerchia del duca Filippo Maria Visconti di Milano, poi passò al servizzio diretto dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo e partecipò alle guerre contro gli Hussari di Boemia. 

Giovanni si fece notare fin dal 1440 per una vittoria contro i Turchi in Bosnia. L'anno seguente, approfittando della treguua che la malattia di Murad II offirva alla Transilvania, intraprese l'organizzazione della difesa della provincia, della quale avrebbe assunto il titolo di voivoda insieme a Nicola Ujlàki. In ottobre, nonstante le proteste di Vlad Dracul, ordinò agli abiitanti di Brasov di aprire nella loro città un'officina per il conio delle monete. In novembre e dicembre i due voivoda si recarono in Valacchia.  

Nel 1442, Hunydai sbaragliò due eserciti ottomani venuti a saccheggiare il paese sotto la guida del goveranatore di Hunyadi, sbaragliò gli eserciti ottomani venuti a saccheggiare il paese sotto la guida del governatore di Vidin e del beylerbey (governatore) della Rumelia, Sehabbedin pascià. Il bottino fu immenso, a un punto tale che il francescano Bartolomeo de Yano scrisse così:
della quale vittoria quelli della Valacchia, e anche quelli che prima erano passati sono tutti ricchi e vestono solo con abiti di seta e drappi d'oro delle spogliazioni e delle vesti dei Turchi sconfitti, che confessano di aver portato via in gran mucchio.

Vlad Dracul, prigioniero dei Turchi



Murad II decise di occupare militarmente la Valacchia per trasformarla in provincia ottomana. Vlad Dracul si trovava totalmente isolato. Da un lato, non aveva avanti la sicurezza del corpo di spedizione ottomana e avrebbe anche attaccato il rimanente dell'esercito dopo la prima disfatta, in Transilvania, il 22 marzo. Dall'altro Giovanni Hunyadi aveva bisogno di un alleato più docile in Valacchia. Con l'appoggio del re d'Ungheria Hunyadi riuscì a insediare  aul trono valacco Basarab II uno dei figli di Dan II rifugiatosi in Transilvania dopo la morte del padre. Abbandonato da Hnnyadi e scacciato dal trono, Vlad Dracul cercò di riprendere i buoni rapporti  con i Turchi. In quuesto frangente venne contattato da un funzionario (subachi o subasi), turco di Giurgio, latore di un salvacondotto del sultano che lo invitava ad Adrianopoli e gli garantiva salva la vita. 

Vlad Dracul accettò l'invito del sultano. Non poteva sperare di recuperare il trono contro della statura di Giovanni Hunyadi, ma contava sulla propria abilità nel convincere Murad II a sostenerlo nelle sue ambizioni. Non appena arrivato a Adrianopoli (luglio-agosto 1442) Vlad Dracul venne introdotto al cospetto di Murad II.:
... il quale a prima vista, lo ricevette molto onorevolmente. Il Turco era installato fuori le mura, con un gran numero di tende e di padiglioniper lui e per i suoi. 
All'indomani dell'arrivo del signore della Valacchia, il suddetto Gran Turco gli organizzò un gran banchetto, al quale invitò tutti i suoi subachi e capitani per festeggiare il signore della Valacchia. E stava quel Gran Turco dentro un padiglione tutto rivestito di velluto color cremisi, ornato e addobbato con ricchi cuscini e cuscinetti drappeggiati d'oro e di seta il quale medaglione era di circa dieci piedi d'altezza, sporgente in avantied elevato affinché (il Gran Turco) potesse vedere i suoi soldati e capitani. E fuori dal padiglione ssedeva per terra su cuscini e tappeti con drappi d'oro il signore della Valacchia, alla destra del Turco, e alla sua sinistra era seduto il bellarbay (beylerbey), che siignifica signore dei signori; e tutti gli altri nnobili erano seduti come in una carovana, da destra a sinistra, il mondo che il Gran Turco  li potesse vedere tutti mentre mangiavano. Indi, terminato il pranzo il Turco si ritirò nella sua granda tenda; poi subito dopo, inviò il subachi che aveva condotto il signore della Valacchia affinché lo facesse prigioniero, come fece, e poi lo portasse nel castello di Gallipoli, che si trova sullo stretto di Rommenia (Dardanelli), dove lo rinchiuse e lo mise ai ferri. E tutti quei signori che erano venuti con il signore della Valacchia per accompagnarlo, il Turco li fece condurre a guidare fino al loro paese, dove raccontarono il gran tradimento da parte del Gran Turco, contro la persona del loro signore, cosa della quale tutti i suoi sudditi rimasero terrificati. Perché capirono e immaginarono bene in cuor loro che il Turco aveva fatto quel tradimento sperando che, senza pastore e senza guardiano, li avrebbe conquistati facilmente. Perché il signore della Valacchia a quel tempo aveva solo un figlio dell'età di tredici o quattordici anni, il quale non era affatto  in grado di condurre un tale regno, specialmente in tempo di guerra; per cui un gran dolore regnava in tutta la Valacchia. 

Alcuni contemporanei aggiunsero che il principe era stato decapitato, altri che i suoi boiardi erano stati spogliati di tuti i loro beni e sostituiti da dei timariot turchi, eccetera. Dopo che Vlad Dracul venne imprigionato, Murad II inviò un nuovo esercito in Valacchia per cercare d'installarvi un'amministrazione ottomana e attaccare di nuovo la Transilvania. Quest'esercito, comandato dal beylerbey della Rumelia, Sehabbedin pascià, fu sconfitto dalle truppe ungheresi e valacche sul fiume Ialomita il 2 settembre 1442. 

Il sultano si vestì di nero e decise di digiunare. Di lì a poco Giovanni Hunyadi gli avrebbe fornito un'uteriore occasione di digiuno. Nel settembre del 1443 mise in piedi, quasi del tutto a sue spese, un esercito di circa 35.000 uomini, per la maggior parte nobili romeni della Transilvania e del Banat, con i quali marciò contro i Turchi sul loro stesso territorio. Si portò appresso alcuen truppe valacche e il loro principe Basarab II, oltre alcuni contingenti serbi del despota Giorgio Brankovic, rifugiatosi in Ungheria. La <<lunga campagna>>, come venne chiamata, durò quattro mesi, dal settembre 1443 al gennaio 1444. Hunyadi riportò parecchie vittorie sugli ottomani, i quali non avevano ancora mai visto un esercito cristiano ai piedi dei monti Balcani. Questa partenza tardiva per la guerra si spiega con le difficoltà nel garantire la tranquillità del fronte occidentale, dove Federico III, spinnto dal papa finì con l'accetare una tregua; bisogna poi aggiungervi le forti esitazioni di Venezia ad armare una flotta che fosse capace di chiudere gli Stretti e la titubanza della chiesa cattolica, dilaniata dal conflitto tra il papa Eugenio IV da una parte e i cardinali del Concilio di Basilea con il loro antipapa dall'altra. 

Nel giugno del 1444 Giovanni Hunyadi ordinò la ritirata generale. Il suo progetto di scacciare i Turchi dall'Europa era rimandato alla seconda parte dell'anno. Il 2 febbraio rientrava trionfante a Buda, dove la Dieta decideva all'unanimità di continuare la crociata. 
Dal canto suo Murad II non rimase inoperoso. Fin dal gennaio del 1444 avanzò delle proposte per un trattato di pace di venti o anche trant'anni, dichiarò di accettare la restaurazione del potentato di Serbia e chiese in caambio la restituzione di molti prigionieri turchi, Murad fece uscire Vlad Dracul dalla prigione di Gallipoli.

Basarab II, il protetto di Giovanni Hunyadi, venne scacciato dal trono e trovò probabilmente la morte durante questi eventi. La Dieta ungherese, riunita a Buda il 15 aprile decretò la chiamata alle armi delle truppe del regno per l'estate, allo scopo di continuare la battaglia contro i Turchi. Questo nonostante l'opposizione dei consiglieri polacchi del re, i quali avrebbero preferito approfittare dei buoni propositi del sultano per mantenere la pace nei due regni. Il despota Giorgio Brankovic, uno dei più ricchi proprietari terrieri dell'Ungheria, concordava con essi nella speranza di recuperare il proprio regno. L'esempio di Vlad Dracul  era contagioso! D'altra parte, il conflitto con Federico III per la corona ungherese era ricominciato e andava complicandosi per alcuni disordini avvenuti al confine con la Boemia. Sembra anche che Giovanni Hunyadi propendesse per un negoziato con i Turchi che strappasse loro il massimo delle concessioni. 
Il 24 aprile 1444 un'ambasciata ungherese e serba partì alla volta di Adrianopoli. Era formata da tre rappresentanti: uno per il re uno per Hunyadi e uno per Giorgio Brankovic. Arrivato ad Adrianopoli in giugno, il 12 dello stesso mese concluse con il sultano un trattato di pace che includeva anche Vlad Dracul, il quale aveva riallacciato i rapporti con il re e con Hunyadi. La situazione di Vlad fu così regolata da Murad II: 
Allo stesso modo (l'ambasciatore del re) ci ha detto che per quanto riguarda Vlad, il voivoda valacco, gli piacerebbe che la pace con lui venisse conclusa in questi termini, cioè, che il suddetto coicoda mi dia in primo luogo il tributo abituale, e che si attenga a tutti i servizi che aveva l'obbligo di rendermi nel passato, tranne il fatto che non sarà più obbligato, come lo era prima, a venire di persona presso la nostra corte. Dunque, per amore di Sua Eccellenza noi accettiamo che non si rechi più presso la nostra corte ma che in cambio ci mandi in ostaggio e liberi quelli tra i nostri che fuggiranno nelle sue terre, così come noi faremo per coloro dei suoi che fuggiranno qui. 

Il trattato venne ratificato dal re Ladislao a Szegedin alla fine di luglio del 1444, non senza aver prima strappato alcune nuove concessioni a Murad II che le accettò, desideroso com'era di passare gli stretti per domare la rivolta all'emiro di Karamania. 
Vlad Dracul assolse coscienziosamente i suoi obblighi, ma, non volendo sacrificare il primogenito Mircea, mandò al sultano due ostaggi al posto ddi uno: Vlad, il futuro Dracula, e Radu; rispettivamente di quaattordici o quindici anni e di cinque o sei anni. Mal gliene insolse, perché il 4 agosto, meno di una settimana dopo la firma del trattato, il re Ladislao, Giovanni Hunyadi e gli altri dignitari ungheresi giurarono solennemente, in presenza del legato pontificio, Giulio Cesarini, cardinale di Sant'Angelo, di muovere guerra ai Turchi a partire dal primo settembre. E' certo che Vlad venne informato troppo tardi di questo voltafaccia, che vece versare molto inchiostro e suscitò aspre controversie. 

In tempi normali i due principini ostaggi avrebbero dovuto soggiornare ad Adrianopoli o a Brasov, come era avvenuto nel 1432, ma la rottura della pace indussse il sultano a trasferirlo il più lontano possibile dal loro paese, a Egrigoz, oggi cantone di Emet, nella provincia di Kutahya.

Il disastro di Varna

Naturalmente anche Vla Dracul fu invitato a prender parte alla campagna di Varna nell'ottobre del 1444. Il principe era però deciso a rispettare il giuramento fatto al sultano, ossia di non attaccarlo, poiché ne dipendeva la vita dei suoi figli. Il cardinale di Sant'Angelo gli propose di assolverlo dal giuramento così come aveva fattto per il re e per Giovanni Hunyadi (ma non valse a nulla, perciò, il legato e il re d'Ungheria, furono molto scontenti>> affermaWalerand de Wavrin. Inoltre, quando l'armata dei crociati passò il Danubio negli ultimi giorni di settembre e si fermò a Nicopoli, Vlad Dracul si presentò davanti al re Ladislao e gli spiegò il suo punto di vista e il bisogno di pace che aveva il suo paese. Ciononostante si dichiarò pronto a contribire alla causa comune e mise a dispposizione del re settemila cavalieri, guidati da suo figlio Mircea. Dopo aver dimostrato in tal modo di essere disposto ai più grandi sacrifici Vlad Dracul  che conosceva fin troppo bene i Turchi informò  il re e i suoi consiglieri che solo per aandare a caccia il sultano usciva con un numero di uomini maggiore di quello di tutto l'esercito dei crociati messo assieme. 

Nella battaglia che il 10 novembre ebbe luogo a Varna il re non seguì i prudenti consigli di Vlad e quando vide i Turchi ritirarsi si lanciò al loro inseguimento. Fu in questa circostanza che il suo cavallo venne ucciso sotto di lui, e che un guannizzero, sbucato dal nulla, gli tagliò la testa. Spaventati e disorganizzati, i cristiani si ritirarono in disordine. Giovanni Hunyadi e i suoi riuscirono a rientrare in Valacchia, il cardinale Cesarini, invece fu dato per disperso, probabilmente morto in battaglia o assasinato dai soldati romeni, allettati dall'oro che trasportava. 
La scomparsa del giovane re di Polonia e d'Ungheria fu un duro colpo per i cristiani. Il sultano Murad ne fece imbalsamare la testa con le spezie, la riempì di cotone, ne fece pettinare i lunghi capelli neri e truccare il volto affinché sembrasse vivo, la conficcò in cima a una lancia, dalla quale pendeva anche il trattato di pace di Szeged, e la ostentò lungo il campo degli alleati, poi in tutte le città dell'Impero. In seguito la mandò come trofeo al sultano mamelucco del Cairo. 

In quel giorno funesto il contingente valacco combatté con coraggio. Mircea, il comandante aveva al massimo sedici anni; lo coadiuvava un precettore esperto che nel 1396, aveva partecipato alla giornata di Nicopoli e conosceva il modo di battersi dei Turchi. Nel cuore della battaglia il sultano mandò un messaggio a Mircea minacciando di uccidere i suoi due fratelli se avesse continuato a combattere, il che causò la ritirata dei Romeni. Questo anche se Vlad Dracul non si faceva più illusioni sulla sorte dei suoi figli, come prova questa lettera che inviò agli abitanti di Barasov: 

"Vi prego di comprendermi poiché ho lasciato uccidere i miei due figli per la pace dei cristiani e affinché io e il mio paese si appartenga al mio signore, il re d'Ungheria"

E, in un certo modo, per lui i due figli erano morti, poiché non li avrebbe mai più rivisti. Ecco perché il principe valacco, nonstante la disputa di Giovanni Hunyadi - che quasi uccise con le proprie mani quando, dopo Varna, quest'ultimo si rifugiò in Valacchia - cooperò appieno con la flotta borgognona giunta l'anno seguente attraverso il Danubio. L'obiettivo illusorio di questa spedizione era quello di cercare il re Ladislao e il cardinale Cesarini, che si diceva fossero ancora vivi. Le otto galere che salparono per congiungersi a Nicopoli con Giovanni Hunyadi e le truppe d'Ungheria erano comandate da Walerand de Wavrin, Regnauld de Comfide e Jacot de Thoisy, capitano della flotta del duca di Borgogna Filippo il Buono - come anche dal cardinale veneziano Condulmieri. In tarda età Walerand de Wavrin raccontò le sue gesta al nipote, lo storico Giovanni de Wavrin, che le inserì nella sua Cronaca dell'Inghilterra. Il racconto si legge come un romanzo di cappa e spada: si susseguono assedi, battaglie contro i Turchi e astuzie per evitare il fuoco della loro artiglieria, scoperte di granai sotterranei contenenti fave, grano e piselli (<<e sembrò a tutti una manna dal cielo>>), tafferugli continui tra romeni e borgognoni per la spartizione del bottino e dei vestiti dei nemici morti, al punto tale che ciascuno se ne portava via un pezzo, chi una spada, un fodero, un arco o una faretra. 

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martedì 17 ottobre 2017

Maria Antonietta. Cap. VII

Maria Antonietta Cap VII


Maria Antonietta


Nelle spaziose stanze dell'appartamento di Antonietta a Versailles regnava il disordine. Il vastissimo corpo di guardia in cima alla scalinata di marmo era stipato di armi e di equipaggiamento delle guardie, che ingannavano il tempo giocando d'azzardo e raccontandosi a vicenda le loro storia personali, mentre tutt'intorno mercanti d'ogni genere attendevano l'occasione buona per mostrare alla delfina ciò che avevano da vendere, e corrieri e visitatori della corte andavano e venivano, apparentemente indaffarati. Nell'anticamera, ove i domestici di Antonietta stavano in attesa del loro turno di servizio, e ove era apparecchiata la <<grande tavola>> per il pasto del mezzoogiorno, gli arazzi erano sforacchiati nei punti ove i due cani di Antonietta, due carlini dalla coda ricurva, li avevano graffiati, e il pavimento di legno era infangato dalle orme degli animali <<Madame la dauphine ama moltissimo i cani>>, scrisse una volta Mercy a Maria Teresa, aggiungendo che Antonietta chiedeva che le fosse mandato da Vienna un altro cane un carlino di color fulvo col vaso nero. 

Anche la camera di Antonietta, col suo enorme letto, recava tracce evidenti della presenza dei cani, ma, i guasti prodotti da questi ultimi erano maggiormente visibili nelle altre stanze, ove la delfina li lasciava ruzzare liberamente su sedie e sofà rivestiti di damasco; le gambe di questi mobilierano fittamente segnate dai morsi degli animali. I cani facevano i loro bisogni quando e dove volevano, dato che Antonietta non si preoccupava di impedirglielo e a nessuno dei servitori era stato affidato il compito specifico di badare ai due animali. Ad accrescere il caos c'erano poi due bambini piccoli, di quattro e cinque anni. Uno era figlio del primo valletto della delfina, Thierry, l'altro era figlio della sua prima cameriera. I due bambini erano sempre scalzi, scorazzavano per le stanze inseguendosi a vicenda, giocavano con i cani e facevano un allegro disordine, specialmente quando Antonietta, avrebbe dovuto ascoltare gli ammaestramenti dell'abate Vermond o una lezione di canto, oppure lavorare all'uncinetto per fare un panciotto da donare al re. 


Luigi XV




La camera di Noailles, era rimasta profondamente offesa quando la sua signora, cercando di ridurre all'osso la lunga procedura necessaria anche per le più semplici incombenze di corte, aveva mandato da lei la moglie di Thierry per falre sapere che la desiderava al suo servizio. Furibonda perché si sentiva insultata, la contessa di Noailles si era precipitata da Antonietta per annunciarle che non intendeva prendere ordini da una cameriera, e in particolare da una cameriera che non era stata ancora ufficialmente nominata. 

All'origine dell'incidente c'era una delle figlie del re, Adelaide; era stata lei che aveva suggerito ad Antonietta di aggirare il protocollo mandando direttamente la Thierry dalla conttedssa di Noialles, benché sapesse benissimo quali sarebbero state le conseguenze del suo consiglio. Mercy non aveva potuto fare una paternale ad Antonietta; aveva solamente cercato di mettere in guardia la delfina facendole notare quanto poteva essere pericoloso dare ascolto a certi consigli. 

La delfina a quanto pareva non sapeva tenersi pulita e in ordine. Dalle partite di caccia che seguiva in carrozza, tornava sempre tutta bagnata e inzaccherata, trascurava l'acconciatura dei capelli; e dedicava al proprio abbigliamento un'attenzione così scarsa che una nobildonna austriaca in visita a Versailles ne rimase sconcertata e fece a Maria Teresa un rapporto molto severo <<Mi ha detto>>, scrisse l'imperatrice ad Antonietta, deplorando il comportamento della figlia <<che hai poca cura di te stessa, anche quando si tratta di lavarti i denti; questo come la tua persona in genere, è un punto chiave ed essa ti ha trovata peggiorata... Ha aggiunto che eri malvestita e che si è azzardata a dirlo alle tue dame>>.

Data la sua allegra non curanza per le riigorose consuetudini della corte Antonietta non poteva non scontrarsi con la puntigliosa e scrupolosa dame d'honneur che le era stata assegnata. A proposito della contessa di Noailles, Madame Campan scrisse una volta. <<Non aveva attrattive esteriori. Il suo portamento era rigido, la sua espressione severa; conosceva l'etichetta da cima a fondo>>. Madame Campan aveva avuto occasione di conoscere la sopra ricordata severità un giorno che si trovava nell'appartamento di Antonietta mentre veniva ricevuto un visitatore solo recentemente presentato a corte. <<Era tutto regolare, o perlomeno così credevo>> ricordava la Campan. <<Improvvisamente mi accorsi che gli occhi della contessa erano fissi sui miei. Fece un piccolo cenno col capo. Le sue sopracciglia si alzarno, si abbassarono e tornarono ad alzarsi. Poi si mise a fare piccoli gesti con le mani. Questa muta esibizione non mi lasciò dubbi: qualcosa non andava comme il faut>>.


Maria Teresa d'Asburgo

Frattanto la dame d'honneur si era messa a gesticolare in modo più visibile. Allora Antonietta aveva notato ciò che non andava e aveva rivolto un sorriso a Madame Campan, che si era affrettata ad avvicinarsi. A quanto pareva, la Campan aveva dimenticato di allentare le alette pendenti del suo copricapo. <<Allentate le alette>>, le aveva mormorato Antonietta, <<altrimenti la contessa ne morirà>>, Madame caampan aveva allentato le alette e la contessa si era un pò ripresa dallo shock. 

La delfina era <<perennemente tormentata>> dalla sua dame d'honneur, che la seguiva passo a passo e la correggeva mille volte al giorno dicendole come doveva accogliere una persona in un certo modo  e un'altra in un certo altro modo, criticando il suo modo di parlare, lanciandole occhiate di disapprovazione e scuotendo la testa con aria afflitta. 

Anche quando pranzava in compagnia del delfino in una sala piena di cortigiani e di spettatori, scoppiava in sonore risate, sconcertando i presenti. Mercy la vedeva spesso <<sussurrare all'orecchio di qualche giovane dama>> e poi <<ridere con lei>>. <<A volte scherza sulle persone che le sembrano ridicole>>, scrisse una volta l'ambasciatore, aggiungendo: <<Sa usare lo spirito e il sarcasmo in modo da rendere assai mordaci le sue osservazioni>>. Non faceva differenza che Antonietta <<fosse di carattere per natura allegro e scevro di cattive intenzioni>>; i commenti erano non per questo meno pungenti. E quando la delfina faceva osservazioni <<satiriche e astiose>> su Madame Du Barry, il re si irritava, anche se non lo diceva mai direttamente alla nipote, ma glielo faceva sapere, tramite intermediari. 


Luigi XVI

Il paese era di fronte a una crisi fiscale. Il tesoro era sull'orlo della bancarotta, bisognava imporre e riscuotere nuove tasse. L'intero sistema tributario anzi, aveva urgente necessità di una riforma. Eppure la riforma era impossibile finché l'autorità del sovrano era tenuta in scacco dai parlamenti locali di fatto, un potere di veto sugli editti del re. Nella confusione politica di dicembre 1770 il duca di Choiseul aveva perso le sue cariche perché appoggiava i parlamenti locali, mentre il carattere generale, l'abate Terray, era contrario ad essi.

I parlamenti locali, erano istituzioni arcaiche in cui la nobiltà proclamava la propria volontà di non dipendere dall'autorità regia. Non tutte le province francesi avevano un parlamento. I parlamenti erano tredici, e di essi il più numeroso e il pià importante era quello di Parigi. Ciascuno dei tredici sosteneva però di essere la suprema corte d'appello per la sua provincia con il potere di opporre resistenza all'imposizione della legge regia. Nel settore tributario i parlamenti erano distintamente importanti; ogni volta che i ministri del sovrano cercavano di opporre resistenza all'imposizione della legge regia. Nel settore tributario i parlamenti erano distintamente intransugenti: ogni volta che i ministri del sovrano cercavano di sopprimere le esenzioni fiscali di cui godevano gli aristocratici i parlamenti cessavano di funzionare. Le procedure legali si arrestavano e il re, anche se prendeva provvedimenti punitivi non era in grado di far entrare in vigore i propri editti. 

Da una parte i parlamenti erano organi votati alla difesa dei propri interessi, gelosi custodi delle prerogative dei loro membri aristocratici. D'altro canto, nel clima sempre più evidente di pensiero politico liberale che caratterizzava il XVIII secolom l'opposizione dei nobili al re poteva assumere il carattere - e l'assumeva - di un'opposizione al dispotismo, opposizione radicata in una tradizione di libertà che, insistevano i suoi sostenitori, risaliva ai tempi di Carlo Magno e oltre. In tal modo la lotta fra i parlamenti e la corona veniva spesso presentata come una lotta del popolo francese contro il suo tirannico sovrano, in cui i nobili erano campioni del popolo. 

La monarchia e l'aristocrazia, attraverso i parlamenti, erano semplicemente impegnate in una lotta per il potere, in cui i nobili miravano ad assicurarsi una quota sempre maggiore dell'autorità che un tempo era prerogativa esclusiva del sovrano. I parlamenti erano in verità un bastione, ma un bastione del privilegio degli aristocratici: in altre parole un bastione che, nella congiuntura politica ed economico - sociale dell'inizio degli anni Sessanta del XVIII secolo, rappresentava un ostacolo a riforme finanziarie di cui c'era un gran bisogno. 

L'abate Terray e il cancelliere Maupeou - un giurista, quest'ultimo, abile e provo di scrupoli - persuasero il re che se si voleva il successo delle suddette riforme finanaziarie era necessario sopprimere i parlamenti locali. D'un colpo il vecchio sistema giuridico venne spazzato via e furono costituiti nuovi tribunali fiscali. Terray affrontò per primo il problema del debito del tesoro e dispose prestiti forzosi. 

La nomina del duca d'Auguillon al posto del duca di Choiseul fu un ulteriore insulto ai sostenitori dei parlamenti, perché egli si era trovato in contrasto con i parlamenti della Bretagna e di Parigi e il conflitto politico che ne era risultato era divenuto, in un certo modo, un simbolo della determinazione della monarchia di soffocare l'indipendenza dei nobili. Il conflitto si ripercosse perfino nell'ambito della famiglia reale: i principi di Condé e di Conti e il duca d'Orléans, cessarono di frequentare la corte per protesta contro la soppressione del Parlamento di Parigi. (Il er Luigi definì il principe di Conti <<mio cugino, il giurista litigioso>>). 

Il conte di Provenza, sposatosi nel maggio del 1771, si era malignamente vantato, con il delfino di essere stato <<quattro volte felice>> nella notte di nozze. La sua consorte Maria Giuseppina di Savoia, aveva anch'essa goduto <<meravigliosamente>>, a detta del duca; e i cortigiani si erano messi ad osservare con attenzione la sposa per scorgere un qualche segno che fosse incinta. La nuova contessa di Provenza non poteva attrarre l'attenzione per nessun altro motivo: era tozza e scura di carnagione, con cespugliose sopracciglia nere e un ciuffo tutt'altro che femminile di peli neri sul labbro superiore, che i cortigiani meno riguardosi chiamavano mustacchio. La sua ruvida epidermide non era certamente oggetto d'ammirazione, e Maria Giuseppina trascurava molto spesso di fare il bagno. Luigi XV, disgustato dalle abitudini personali della nuova nipote, scrisse ai suoi genitori pregandoli di dire alla propria figlia di lavarsi il collo.


Maria Giuseppina di Savoia 

<<Il comportamento di Maria Giuseppina è freddo e imbarazzato>> pensava Mercy. <<Parla poco e con impaccio>>. Può darsi che fosse sconcertata dalla grandiosità di Versailles e dai suoi temibili abitanti; quando riuscì a farsela amica, Antonietta la trovò <<molto dolce, molto gradevole e molto allegra in privato, anche se non appare tale in pubblico>>. <<Ha per me molta simpatia>>, scrisse Antonietta alla madre, <<e molta fiducia. Non è affatto dalla parte di Madame Du Barry>>. 

La principessa di Lamballe, una giovane vedova piuttosto melanconica che era la nuora del duca di Penthiévre. Per breve tempo la principessa, era stata sposata con il dissoluto principe di Lamballe, che si era spento molto giovane, vittima dei suoi eccessi; aveva sei anni più di Antonietta, ma una personalità meno marcata, la sua gentilezza d'animo e il suo buon carattere facevano da contrappunto alla vivacità della delfina. La principessa era una figurina delicata, i suoi lineamenti fisici erano irregolari ma non sgradevoli. Il suo tratto più negativo erano le mani, a giudizio di un memorialista di corte; quello più positivo era costituito dal candore e dall'estraneità agli intrighi. Nell'inverno 1770-1771 la principessa di Lamballe e Antonietta divennero amiche. L'<<aria infantile>> della giovane vedova la rendeva cara alla delfina, che amava i bambini, e il fatto che anch'essa, piemontese, fosse straniera costituiva un ulteriore legame con la principessa austriaca. 

Le lughe e autoritarie lettere dell'imperatrice, scritte con la concisione e l'immediatezza che per Maria Teresa erano una seconda natura, ma che avevano il potere di intimidire la giovsne figlia, la quale era di carattere assai sensibile, arrivavano ogni mese. Erano piene di critiche e di direttive, una sorta di controparte scritta dei rimbrotti verbali della contessa di Noailles. Il modo in cui scriveva Antonietta era difettoso, lamentava l'imperatrice. La sua <<aria giovanile>> era scomparsa: appariva chiaro dai ritratti. Doveva deidicare una maggiore attenzione agli austriaci che capitavano a corte. Non doveva andare a cavallo. Avrebbe dovuto leggere di più. Non avrebbe dovuto mantenere rapporti così intimi con Adelaide, Vittoria e Sofia. Doveva parlare con Madame Du Barry, per quanto sgradevole potesse essere la cosa. Doveva sorvegliarsi con attenzione e proteggersi dagli attacchi. Soprattutto, dovev adoperarsi per essere simpatica agli altri. 

Nelle missive dell'imperatrice c'erano ingiunzioni sul cibo, sull'esercizio fisico, sull'abbigliamento, sul comportamento, e sulla vita coniugale di Antonietta. Maria Teresa aveva opinioni molto nette sul modo di costringere un marito a farsi coraggio (sempre nella presunzione che fosse la timidezza, e non un inguaribile impotenza, il problema del delfino). <<Sii prodiga di carezze>> scriveva Maria Teresa ad Antonietta. Le lettere erano piene di rimproveri, e anche di espressioni disperate (<<Ti vedo procedere a grandi passi e con calma non curante verso la rovina>>, scrisse l'imperatrice nell'ottobre del 1771), ma col trascorrere dei mesi divennero più tenere e perfino lamentose. Maria Teresa stava invecchiando e si sentiva addosso il peso degli anni. Le facoltà di Maria Teresa declinavano ed essa non si sentiva più a suo agio nel mondo che vedeva intorno a sé: <<L'irreligione, il decadere della morale, il gergo che tutti usano e che non capisco, tutte queste cose bastano per sopraffarmi,>> lamentava. Si sentiva sola e aveva nostalgia dei suoi figli, la maggior parte dei quali viveva lontano da lei, e di suo marito, la cui perdita non cessava mai di piangere. 

Una fonte costante di esapserazione, per Maria Teresa, era Giuseppe, la infastidiva con le sue pretese e, proprio nel momento in cui essa più sentiva il peso degli anni, la tediava con richieste di ogni genere e con la continua minaccia di rinunciare al titolo di co-reggente. Se però Giuseppe, data la sua presenza a Vienna, era una preoccupazione quotidiana, una preoccupazione non meno grave era per l'imperatrice la figlia Amelia. Il matrimonio con Don Ferdinando di Parma, un uomo senza spina dorsale, si era trasformato in un incubo. Amelia comandava a bacchetta la corte, o tentava di farlo. Maria Teresa disapprovava nettamente la sua condotta, e per poco questo suo atteggiamento non aveva causato una rottura in famiglia. 


Madame Du Barry

Antonietta era costantemente in apprensione, constantemente in guardia per paura di offendere la temibile genitrice. <<Amo l'imperatrice, ma ho paura di lei>>, disse all'ambasciatore austriaco, <<anche da lontano, anche quando le scrivo non mi sento mai a mio agio con lei.>> Era ancor peggio quando doveva dare alla madre cattive notizie. Con le lacrime agli occhi, Antonietta che aveva paura di riferire a sua madre <<le cose che vanno male>>. <<Il mio cuore è sempre con la mia famiglia in Austria>> disse in un'altra occasione a Mercy, <<e, se litigassi con i miei familiari, sento che i miei doveri qui sarebbero troppo onerosi per poterli sopportare.>>

Antonietta, aveva ppaura delle lettere che arrivavano da Vienna, ma aveva ancor più paura della prospettiva che un giorno quelle lettere non arrivassero più. Poco prima della fine di febbraio del 1772 giunse notizia che l'imperatrice era stata gravemente ammalata e che i medici l'avevano sottoposta a due salassi. Antonietta scoppiò in lacrime e si chiuse nellla stanza meno accessibile del suo appartamento, annullando un'udienza già fissata. Andò a prendere il rosario che Maria Teresa le aveva donato, e si inginocchiò per pregare, afflitta in quel momento di angoscia quanto poteva essere effervescente in gaiezza nei momenti più sereni. Il delfino pregò al suo fianco affettuoso e leale con la moglie nonostante l'antipatia che provava per l'Austria e gli austriaci e l'indifferenza nei confronti della suocera, che non aveva mai conosciuto. 

Per far piacere alla consorte, il delfino ordinò che si desse un ballo alla settimana nell'appartamento di Antonietta; e sempre la accompagnava ai riicevimenti offerti dai vari gentiluomini della corte. Tutti notarono in lui un cambiamento: nel suo modo impacciato, cercava di essere socievole, benché preferisse sempre le sue cacce solitarie e compisse quello sforzo, evidentemente, soltanto per fare cosa grata alla moglie. Antonietta sosteneva di essere felice con lui e affermava che <<le voci maligne sussurrate dalla gente sulla sua impotenza sono niente altro che sciocchezze>>. La maggior parte delle notti dormiva nel suo letto, e la trattava <<nel modo più cordiale>>. Ma non erano ancora marito e moglie, e Antonietta, vedendo le altre donne della corte incinte, e poi con i loro bambini in braccio, a volte si disperava. Invidiava quelle donne anche quando la loro gravidanza aveva una conclusione tragica. Nell'ottobre del 1771 la dichessa di Chartres parotorì un bambino morto. <<Anche se è terribile>>, scrisse Antonietta in una lettera inviata alla madre, <<vorrei essere stata io al suo posto, ma su questo non c'è ancora speranza>>. 

Antonietta era ancora molto giovane, non troppo per restare incinta ma forse troppo per essere costantemente feconda. Era ncora in sviluppo, e nei primi anni che tracorse alla corte di Francia la sua altezza aumentò considerevolmente. Stava diventando anche più formosa, specialmente dopo che, su suggerimento della madre, aveva cominciato a bere latte fresco ogni mattina. L'imperatrice aveva sempre creduto nelle virtù salutifere del latte appena munto, portato direttamente dalla stalla. 

Imparava gradualmente a provar piacere nella lettura di libri istruttivi, e, per ore e ore, si faceva leggere dall'abate Vermond (che non era stato licenziato, dopo tutto) brani di opere, sulla storia di Francia e di memorie di uomini di corte dei regni precedenti. Se ne stava pazientemente seduta, col lavoro all'uncinetto in grembo, ascoltando l'abate o discutendo con lui il commento biblico che le era stato dato dal suo confessore per aiutarla a leggere la storia d'Europa di Hume, coosa che essa aveva fatto per suo conto. 

Due anni dopo il suo arrivo in Francia Antonietta era una ragazza diversa. Aveva conservato il suo fascino di adolescente, ma ad esso aveva aggiunto buon senso, acume e perspicacia. Pur provando antipatia, e perfino timore, per la politica, se ne intendeva, almeno fino a un certo punto, e afferrava con alacrità le spiegazioni che le venivano date in proposito. Stava imparando a farsi strada, destreggiandosi fra gli scogli della politica di corte, restando in equilibrio tra le fazioni del re con Madame Du Barry da un lato, e di coloro che avrebbero vooluto servirsi di lei come paravento dall'altro. Finì per compiacere il desiderio del re rompendo il lungo silenzio nei confronti della sua amante, e tuttavia lo fece in modo da slvaguardare la propria dignità. 

A Capodanno del 1772, nel pieno delle complicate cerimonie che erano di rigore nel primo giorno dell'anno, Antonietta decise infatti di pronunciare quelle poche parole che sarebbero bastate per soddisfare il sovrano. Nei brevi scambi di coonnvenvevoli con le dame, che, a turnom si inchinavano dinanzi a lei, non trascurò questa volta Madame Du Barry. <<C'è molta gennte, oggi a Versailles>>, le disse mentre la contessa si prosternava ai suoi piedi. 

Nella delfina, la differenza rispetto all'adolescente intimidita e incolta, di due anni prima, era evidente soprattutto nel modo in cui trascorreva il tempo. Di tanto in tanto andava ancora a trovare le zie, ma ora la si trovava più frequentemente indaffarata a leggere per migliorare la sua cultura, a ricevere le mogli degli ambasciatori stranieri, a suonare la musica per arpa inviatale da sua madre, imparando lentamente prima la parte per la mano destra, poi quella per la sinistra. Adesso, inoltre, nel suo appartamento si vedevano raramente i figli delle sue cameriere, anche se vi stazionavano ancora i cani. Epppure in molti pomeriggi si potevano trovare i cani immersi nel sonno sui sofà, o intenti a zampettare contro le porte, inquieti nella loro solitudine. La loro padrona era fuori impegnata in una partita di caccia; indossando la tenuta da caccia di velluto azzurro e un grande cappello piumato, cavalcava uno degli splendidi destrieri che il nonno aveva acquistato per fargliene dono. I somarelli <<dolci e gentili>> che aveva cavalcato nei primi mesi trascorsi in Francia non la soddisfacevano più. Erano troppo lenti e la frustravano, specialmente quando essa doveva procedere in compagnia di tutte le dame del suo seguito, un lunghissimo corteo di sessanta o ottanta signore in groppa ad altrettanti quadrupedi. Sugli splendidi cavalli da caccia del Suffolk di cui disponeva ora, Antonietta poteva invece galoppare a suo piacimento libera da sua madre, libera dalla contessa di Noailles, libera, per il momento dalle preoccupazioni della sua situazione e dallo sgradevole pensiero del futuro.  

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