martedì 17 ottobre 2017

Maria Antonietta. Cap. VII

Maria Antonietta Cap VII


Maria Antonietta


Nelle spaziose stanze dell'appartamento di Antonietta a Versailles regnava il disordine. Il vastissimo corpo di guardia in cima alla scalinata di marmo era stipato di armi e di equipaggiamento delle guardie, che ingannavano il tempo giocando d'azzardo e raccontandosi a vicenda le loro storia personali, mentre tutt'intorno mercanti d'ogni genere attendevano l'occasione buona per mostrare alla delfina ciò che avevano da vendere, e corrieri e visitatori della corte andavano e venivano, apparentemente indaffarati. Nell'anticamera, ove i domestici di Antonietta stavano in attesa del loro turno di servizio, e ove era apparecchiata la <<grande tavola>> per il pasto del mezzoogiorno, gli arazzi erano sforacchiati nei punti ove i due cani di Antonietta, due carlini dalla coda ricurva, li avevano graffiati, e il pavimento di legno era infangato dalle orme degli animali <<Madame la dauphine ama moltissimo i cani>>, scrisse una volta Mercy a Maria Teresa, aggiungendo che Antonietta chiedeva che le fosse mandato da Vienna un altro cane un carlino di color fulvo col vaso nero. 

Anche la camera di Antonietta, col suo enorme letto, recava tracce evidenti della presenza dei cani, ma, i guasti prodotti da questi ultimi erano maggiormente visibili nelle altre stanze, ove la delfina li lasciava ruzzare liberamente su sedie e sofà rivestiti di damasco; le gambe di questi mobilierano fittamente segnate dai morsi degli animali. I cani facevano i loro bisogni quando e dove volevano, dato che Antonietta non si preoccupava di impedirglielo e a nessuno dei servitori era stato affidato il compito specifico di badare ai due animali. Ad accrescere il caos c'erano poi due bambini piccoli, di quattro e cinque anni. Uno era figlio del primo valletto della delfina, Thierry, l'altro era figlio della sua prima cameriera. I due bambini erano sempre scalzi, scorazzavano per le stanze inseguendosi a vicenda, giocavano con i cani e facevano un allegro disordine, specialmente quando Antonietta, avrebbe dovuto ascoltare gli ammaestramenti dell'abate Vermond o una lezione di canto, oppure lavorare all'uncinetto per fare un panciotto da donare al re. 


Luigi XV




La camera di Noailles, era rimasta profondamente offesa quando la sua signora, cercando di ridurre all'osso la lunga procedura necessaria anche per le più semplici incombenze di corte, aveva mandato da lei la moglie di Thierry per falre sapere che la desiderava al suo servizio. Furibonda perché si sentiva insultata, la contessa di Noailles si era precipitata da Antonietta per annunciarle che non intendeva prendere ordini da una cameriera, e in particolare da una cameriera che non era stata ancora ufficialmente nominata. 

All'origine dell'incidente c'era una delle figlie del re, Adelaide; era stata lei che aveva suggerito ad Antonietta di aggirare il protocollo mandando direttamente la Thierry dalla conttedssa di Noialles, benché sapesse benissimo quali sarebbero state le conseguenze del suo consiglio. Mercy non aveva potuto fare una paternale ad Antonietta; aveva solamente cercato di mettere in guardia la delfina facendole notare quanto poteva essere pericoloso dare ascolto a certi consigli. 

La delfina a quanto pareva non sapeva tenersi pulita e in ordine. Dalle partite di caccia che seguiva in carrozza, tornava sempre tutta bagnata e inzaccherata, trascurava l'acconciatura dei capelli; e dedicava al proprio abbigliamento un'attenzione così scarsa che una nobildonna austriaca in visita a Versailles ne rimase sconcertata e fece a Maria Teresa un rapporto molto severo <<Mi ha detto>>, scrisse l'imperatrice ad Antonietta, deplorando il comportamento della figlia <<che hai poca cura di te stessa, anche quando si tratta di lavarti i denti; questo come la tua persona in genere, è un punto chiave ed essa ti ha trovata peggiorata... Ha aggiunto che eri malvestita e che si è azzardata a dirlo alle tue dame>>.

Data la sua allegra non curanza per le riigorose consuetudini della corte Antonietta non poteva non scontrarsi con la puntigliosa e scrupolosa dame d'honneur che le era stata assegnata. A proposito della contessa di Noailles, Madame Campan scrisse una volta. <<Non aveva attrattive esteriori. Il suo portamento era rigido, la sua espressione severa; conosceva l'etichetta da cima a fondo>>. Madame Campan aveva avuto occasione di conoscere la sopra ricordata severità un giorno che si trovava nell'appartamento di Antonietta mentre veniva ricevuto un visitatore solo recentemente presentato a corte. <<Era tutto regolare, o perlomeno così credevo>> ricordava la Campan. <<Improvvisamente mi accorsi che gli occhi della contessa erano fissi sui miei. Fece un piccolo cenno col capo. Le sue sopracciglia si alzarno, si abbassarono e tornarono ad alzarsi. Poi si mise a fare piccoli gesti con le mani. Questa muta esibizione non mi lasciò dubbi: qualcosa non andava comme il faut>>.


Maria Teresa d'Asburgo

Frattanto la dame d'honneur si era messa a gesticolare in modo più visibile. Allora Antonietta aveva notato ciò che non andava e aveva rivolto un sorriso a Madame Campan, che si era affrettata ad avvicinarsi. A quanto pareva, la Campan aveva dimenticato di allentare le alette pendenti del suo copricapo. <<Allentate le alette>>, le aveva mormorato Antonietta, <<altrimenti la contessa ne morirà>>, Madame caampan aveva allentato le alette e la contessa si era un pò ripresa dallo shock. 

La delfina era <<perennemente tormentata>> dalla sua dame d'honneur, che la seguiva passo a passo e la correggeva mille volte al giorno dicendole come doveva accogliere una persona in un certo modo  e un'altra in un certo altro modo, criticando il suo modo di parlare, lanciandole occhiate di disapprovazione e scuotendo la testa con aria afflitta. 

Anche quando pranzava in compagnia del delfino in una sala piena di cortigiani e di spettatori, scoppiava in sonore risate, sconcertando i presenti. Mercy la vedeva spesso <<sussurrare all'orecchio di qualche giovane dama>> e poi <<ridere con lei>>. <<A volte scherza sulle persone che le sembrano ridicole>>, scrisse una volta l'ambasciatore, aggiungendo: <<Sa usare lo spirito e il sarcasmo in modo da rendere assai mordaci le sue osservazioni>>. Non faceva differenza che Antonietta <<fosse di carattere per natura allegro e scevro di cattive intenzioni>>; i commenti erano non per questo meno pungenti. E quando la delfina faceva osservazioni <<satiriche e astiose>> su Madame Du Barry, il re si irritava, anche se non lo diceva mai direttamente alla nipote, ma glielo faceva sapere, tramite intermediari. 


Luigi XVI

Il paese era di fronte a una crisi fiscale. Il tesoro era sull'orlo della bancarotta, bisognava imporre e riscuotere nuove tasse. L'intero sistema tributario anzi, aveva urgente necessità di una riforma. Eppure la riforma era impossibile finché l'autorità del sovrano era tenuta in scacco dai parlamenti locali di fatto, un potere di veto sugli editti del re. Nella confusione politica di dicembre 1770 il duca di Choiseul aveva perso le sue cariche perché appoggiava i parlamenti locali, mentre il carattere generale, l'abate Terray, era contrario ad essi.

I parlamenti locali, erano istituzioni arcaiche in cui la nobiltà proclamava la propria volontà di non dipendere dall'autorità regia. Non tutte le province francesi avevano un parlamento. I parlamenti erano tredici, e di essi il più numeroso e il pià importante era quello di Parigi. Ciascuno dei tredici sosteneva però di essere la suprema corte d'appello per la sua provincia con il potere di opporre resistenza all'imposizione della legge regia. Nel settore tributario i parlamenti erano distintamente importanti; ogni volta che i ministri del sovrano cercavano di opporre resistenza all'imposizione della legge regia. Nel settore tributario i parlamenti erano distintamente intransugenti: ogni volta che i ministri del sovrano cercavano di sopprimere le esenzioni fiscali di cui godevano gli aristocratici i parlamenti cessavano di funzionare. Le procedure legali si arrestavano e il re, anche se prendeva provvedimenti punitivi non era in grado di far entrare in vigore i propri editti. 

Da una parte i parlamenti erano organi votati alla difesa dei propri interessi, gelosi custodi delle prerogative dei loro membri aristocratici. D'altro canto, nel clima sempre più evidente di pensiero politico liberale che caratterizzava il XVIII secolom l'opposizione dei nobili al re poteva assumere il carattere - e l'assumeva - di un'opposizione al dispotismo, opposizione radicata in una tradizione di libertà che, insistevano i suoi sostenitori, risaliva ai tempi di Carlo Magno e oltre. In tal modo la lotta fra i parlamenti e la corona veniva spesso presentata come una lotta del popolo francese contro il suo tirannico sovrano, in cui i nobili erano campioni del popolo. 

La monarchia e l'aristocrazia, attraverso i parlamenti, erano semplicemente impegnate in una lotta per il potere, in cui i nobili miravano ad assicurarsi una quota sempre maggiore dell'autorità che un tempo era prerogativa esclusiva del sovrano. I parlamenti erano in verità un bastione, ma un bastione del privilegio degli aristocratici: in altre parole un bastione che, nella congiuntura politica ed economico - sociale dell'inizio degli anni Sessanta del XVIII secolo, rappresentava un ostacolo a riforme finanziarie di cui c'era un gran bisogno. 

L'abate Terray e il cancelliere Maupeou - un giurista, quest'ultimo, abile e provo di scrupoli - persuasero il re che se si voleva il successo delle suddette riforme finanaziarie era necessario sopprimere i parlamenti locali. D'un colpo il vecchio sistema giuridico venne spazzato via e furono costituiti nuovi tribunali fiscali. Terray affrontò per primo il problema del debito del tesoro e dispose prestiti forzosi. 

La nomina del duca d'Auguillon al posto del duca di Choiseul fu un ulteriore insulto ai sostenitori dei parlamenti, perché egli si era trovato in contrasto con i parlamenti della Bretagna e di Parigi e il conflitto politico che ne era risultato era divenuto, in un certo modo, un simbolo della determinazione della monarchia di soffocare l'indipendenza dei nobili. Il conflitto si ripercosse perfino nell'ambito della famiglia reale: i principi di Condé e di Conti e il duca d'Orléans, cessarono di frequentare la corte per protesta contro la soppressione del Parlamento di Parigi. (Il er Luigi definì il principe di Conti <<mio cugino, il giurista litigioso>>). 

Il conte di Provenza, sposatosi nel maggio del 1771, si era malignamente vantato, con il delfino di essere stato <<quattro volte felice>> nella notte di nozze. La sua consorte Maria Giuseppina di Savoia, aveva anch'essa goduto <<meravigliosamente>>, a detta del duca; e i cortigiani si erano messi ad osservare con attenzione la sposa per scorgere un qualche segno che fosse incinta. La nuova contessa di Provenza non poteva attrarre l'attenzione per nessun altro motivo: era tozza e scura di carnagione, con cespugliose sopracciglia nere e un ciuffo tutt'altro che femminile di peli neri sul labbro superiore, che i cortigiani meno riguardosi chiamavano mustacchio. La sua ruvida epidermide non era certamente oggetto d'ammirazione, e Maria Giuseppina trascurava molto spesso di fare il bagno. Luigi XV, disgustato dalle abitudini personali della nuova nipote, scrisse ai suoi genitori pregandoli di dire alla propria figlia di lavarsi il collo.


Maria Giuseppina di Savoia 

<<Il comportamento di Maria Giuseppina è freddo e imbarazzato>> pensava Mercy. <<Parla poco e con impaccio>>. Può darsi che fosse sconcertata dalla grandiosità di Versailles e dai suoi temibili abitanti; quando riuscì a farsela amica, Antonietta la trovò <<molto dolce, molto gradevole e molto allegra in privato, anche se non appare tale in pubblico>>. <<Ha per me molta simpatia>>, scrisse Antonietta alla madre, <<e molta fiducia. Non è affatto dalla parte di Madame Du Barry>>. 

La principessa di Lamballe, una giovane vedova piuttosto melanconica che era la nuora del duca di Penthiévre. Per breve tempo la principessa, era stata sposata con il dissoluto principe di Lamballe, che si era spento molto giovane, vittima dei suoi eccessi; aveva sei anni più di Antonietta, ma una personalità meno marcata, la sua gentilezza d'animo e il suo buon carattere facevano da contrappunto alla vivacità della delfina. La principessa era una figurina delicata, i suoi lineamenti fisici erano irregolari ma non sgradevoli. Il suo tratto più negativo erano le mani, a giudizio di un memorialista di corte; quello più positivo era costituito dal candore e dall'estraneità agli intrighi. Nell'inverno 1770-1771 la principessa di Lamballe e Antonietta divennero amiche. L'<<aria infantile>> della giovane vedova la rendeva cara alla delfina, che amava i bambini, e il fatto che anch'essa, piemontese, fosse straniera costituiva un ulteriore legame con la principessa austriaca. 

Le lughe e autoritarie lettere dell'imperatrice, scritte con la concisione e l'immediatezza che per Maria Teresa erano una seconda natura, ma che avevano il potere di intimidire la giovsne figlia, la quale era di carattere assai sensibile, arrivavano ogni mese. Erano piene di critiche e di direttive, una sorta di controparte scritta dei rimbrotti verbali della contessa di Noailles. Il modo in cui scriveva Antonietta era difettoso, lamentava l'imperatrice. La sua <<aria giovanile>> era scomparsa: appariva chiaro dai ritratti. Doveva deidicare una maggiore attenzione agli austriaci che capitavano a corte. Non doveva andare a cavallo. Avrebbe dovuto leggere di più. Non avrebbe dovuto mantenere rapporti così intimi con Adelaide, Vittoria e Sofia. Doveva parlare con Madame Du Barry, per quanto sgradevole potesse essere la cosa. Doveva sorvegliarsi con attenzione e proteggersi dagli attacchi. Soprattutto, dovev adoperarsi per essere simpatica agli altri. 

Nelle missive dell'imperatrice c'erano ingiunzioni sul cibo, sull'esercizio fisico, sull'abbigliamento, sul comportamento, e sulla vita coniugale di Antonietta. Maria Teresa aveva opinioni molto nette sul modo di costringere un marito a farsi coraggio (sempre nella presunzione che fosse la timidezza, e non un inguaribile impotenza, il problema del delfino). <<Sii prodiga di carezze>> scriveva Maria Teresa ad Antonietta. Le lettere erano piene di rimproveri, e anche di espressioni disperate (<<Ti vedo procedere a grandi passi e con calma non curante verso la rovina>>, scrisse l'imperatrice nell'ottobre del 1771), ma col trascorrere dei mesi divennero più tenere e perfino lamentose. Maria Teresa stava invecchiando e si sentiva addosso il peso degli anni. Le facoltà di Maria Teresa declinavano ed essa non si sentiva più a suo agio nel mondo che vedeva intorno a sé: <<L'irreligione, il decadere della morale, il gergo che tutti usano e che non capisco, tutte queste cose bastano per sopraffarmi,>> lamentava. Si sentiva sola e aveva nostalgia dei suoi figli, la maggior parte dei quali viveva lontano da lei, e di suo marito, la cui perdita non cessava mai di piangere. 

Una fonte costante di esapserazione, per Maria Teresa, era Giuseppe, la infastidiva con le sue pretese e, proprio nel momento in cui essa più sentiva il peso degli anni, la tediava con richieste di ogni genere e con la continua minaccia di rinunciare al titolo di co-reggente. Se però Giuseppe, data la sua presenza a Vienna, era una preoccupazione quotidiana, una preoccupazione non meno grave era per l'imperatrice la figlia Amelia. Il matrimonio con Don Ferdinando di Parma, un uomo senza spina dorsale, si era trasformato in un incubo. Amelia comandava a bacchetta la corte, o tentava di farlo. Maria Teresa disapprovava nettamente la sua condotta, e per poco questo suo atteggiamento non aveva causato una rottura in famiglia. 


Madame Du Barry

Antonietta era costantemente in apprensione, constantemente in guardia per paura di offendere la temibile genitrice. <<Amo l'imperatrice, ma ho paura di lei>>, disse all'ambasciatore austriaco, <<anche da lontano, anche quando le scrivo non mi sento mai a mio agio con lei.>> Era ancor peggio quando doveva dare alla madre cattive notizie. Con le lacrime agli occhi, Antonietta che aveva paura di riferire a sua madre <<le cose che vanno male>>. <<Il mio cuore è sempre con la mia famiglia in Austria>> disse in un'altra occasione a Mercy, <<e, se litigassi con i miei familiari, sento che i miei doveri qui sarebbero troppo onerosi per poterli sopportare.>>

Antonietta, aveva ppaura delle lettere che arrivavano da Vienna, ma aveva ancor più paura della prospettiva che un giorno quelle lettere non arrivassero più. Poco prima della fine di febbraio del 1772 giunse notizia che l'imperatrice era stata gravemente ammalata e che i medici l'avevano sottoposta a due salassi. Antonietta scoppiò in lacrime e si chiuse nellla stanza meno accessibile del suo appartamento, annullando un'udienza già fissata. Andò a prendere il rosario che Maria Teresa le aveva donato, e si inginocchiò per pregare, afflitta in quel momento di angoscia quanto poteva essere effervescente in gaiezza nei momenti più sereni. Il delfino pregò al suo fianco affettuoso e leale con la moglie nonostante l'antipatia che provava per l'Austria e gli austriaci e l'indifferenza nei confronti della suocera, che non aveva mai conosciuto. 

Per far piacere alla consorte, il delfino ordinò che si desse un ballo alla settimana nell'appartamento di Antonietta; e sempre la accompagnava ai riicevimenti offerti dai vari gentiluomini della corte. Tutti notarono in lui un cambiamento: nel suo modo impacciato, cercava di essere socievole, benché preferisse sempre le sue cacce solitarie e compisse quello sforzo, evidentemente, soltanto per fare cosa grata alla moglie. Antonietta sosteneva di essere felice con lui e affermava che <<le voci maligne sussurrate dalla gente sulla sua impotenza sono niente altro che sciocchezze>>. La maggior parte delle notti dormiva nel suo letto, e la trattava <<nel modo più cordiale>>. Ma non erano ancora marito e moglie, e Antonietta, vedendo le altre donne della corte incinte, e poi con i loro bambini in braccio, a volte si disperava. Invidiava quelle donne anche quando la loro gravidanza aveva una conclusione tragica. Nell'ottobre del 1771 la dichessa di Chartres parotorì un bambino morto. <<Anche se è terribile>>, scrisse Antonietta in una lettera inviata alla madre, <<vorrei essere stata io al suo posto, ma su questo non c'è ancora speranza>>. 

Antonietta era ancora molto giovane, non troppo per restare incinta ma forse troppo per essere costantemente feconda. Era ncora in sviluppo, e nei primi anni che tracorse alla corte di Francia la sua altezza aumentò considerevolmente. Stava diventando anche più formosa, specialmente dopo che, su suggerimento della madre, aveva cominciato a bere latte fresco ogni mattina. L'imperatrice aveva sempre creduto nelle virtù salutifere del latte appena munto, portato direttamente dalla stalla. 

Imparava gradualmente a provar piacere nella lettura di libri istruttivi, e, per ore e ore, si faceva leggere dall'abate Vermond (che non era stato licenziato, dopo tutto) brani di opere, sulla storia di Francia e di memorie di uomini di corte dei regni precedenti. Se ne stava pazientemente seduta, col lavoro all'uncinetto in grembo, ascoltando l'abate o discutendo con lui il commento biblico che le era stato dato dal suo confessore per aiutarla a leggere la storia d'Europa di Hume, coosa che essa aveva fatto per suo conto. 

Due anni dopo il suo arrivo in Francia Antonietta era una ragazza diversa. Aveva conservato il suo fascino di adolescente, ma ad esso aveva aggiunto buon senso, acume e perspicacia. Pur provando antipatia, e perfino timore, per la politica, se ne intendeva, almeno fino a un certo punto, e afferrava con alacrità le spiegazioni che le venivano date in proposito. Stava imparando a farsi strada, destreggiandosi fra gli scogli della politica di corte, restando in equilibrio tra le fazioni del re con Madame Du Barry da un lato, e di coloro che avrebbero vooluto servirsi di lei come paravento dall'altro. Finì per compiacere il desiderio del re rompendo il lungo silenzio nei confronti della sua amante, e tuttavia lo fece in modo da slvaguardare la propria dignità. 

A Capodanno del 1772, nel pieno delle complicate cerimonie che erano di rigore nel primo giorno dell'anno, Antonietta decise infatti di pronunciare quelle poche parole che sarebbero bastate per soddisfare il sovrano. Nei brevi scambi di coonnvenvevoli con le dame, che, a turnom si inchinavano dinanzi a lei, non trascurò questa volta Madame Du Barry. <<C'è molta gennte, oggi a Versailles>>, le disse mentre la contessa si prosternava ai suoi piedi. 

Nella delfina, la differenza rispetto all'adolescente intimidita e incolta, di due anni prima, era evidente soprattutto nel modo in cui trascorreva il tempo. Di tanto in tanto andava ancora a trovare le zie, ma ora la si trovava più frequentemente indaffarata a leggere per migliorare la sua cultura, a ricevere le mogli degli ambasciatori stranieri, a suonare la musica per arpa inviatale da sua madre, imparando lentamente prima la parte per la mano destra, poi quella per la sinistra. Adesso, inoltre, nel suo appartamento si vedevano raramente i figli delle sue cameriere, anche se vi stazionavano ancora i cani. Epppure in molti pomeriggi si potevano trovare i cani immersi nel sonno sui sofà, o intenti a zampettare contro le porte, inquieti nella loro solitudine. La loro padrona era fuori impegnata in una partita di caccia; indossando la tenuta da caccia di velluto azzurro e un grande cappello piumato, cavalcava uno degli splendidi destrieri che il nonno aveva acquistato per fargliene dono. I somarelli <<dolci e gentili>> che aveva cavalcato nei primi mesi trascorsi in Francia non la soddisfacevano più. Erano troppo lenti e la frustravano, specialmente quando essa doveva procedere in compagnia di tutte le dame del suo seguito, un lunghissimo corteo di sessanta o ottanta signore in groppa ad altrettanti quadrupedi. Sugli splendidi cavalli da caccia del Suffolk di cui disponeva ora, Antonietta poteva invece galoppare a suo piacimento libera da sua madre, libera dalla contessa di Noailles, libera, per il momento dalle preoccupazioni della sua situazione e dallo sgradevole pensiero del futuro.  

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