sabato 8 dicembre 2018

Maria Antonietta XI

Maria Antonietta XI

Il filosofo inglese David Hume, che aveva visitato Versailles dieci anni prima dell'inizio del regno di Luigi XVI, era rimasto estasiato dal palazzo: <<Non mangio che ambrosia, non bevo che nettare, non respiro che incenso, non poggio il piede se non sui fiori>>, aveva scritto con entusiasmo. Chiaramente la magnificenza del luogo lo aveva stordito. Versailles, in realtà, era un grande pozzo nero che emanava tanfo di sudiciume e di escrementi. 

Nell'interno del palazzo medesimo, le pareti, i tendaggi e le sontuose tappezzerie emanavano uno sgradevole odore di fuliggine; i samini tiravano male e le stanze erano invase dal fumo da novembre ad agosto. L'odore rimaneva attaccato ai vestiti; alle parrucche, perfino alla biancheria intima. Cosa peggiore di ogni altra, mendicanti, usavano le scale, i corridoi, qualunque angolo  appartato per fare i loro bisogni. Un osservatore del tempo scrisse: <<I passaggi, i cortili, le ali e i corridoi erano pieni di orina e di feci, Il parco, i giardini e il castello facevano vomitare per la puzza>>.

Si trascuravano i dipinti e le statue, si lasciava che i mobili si riempissero di polvere e si scrostature. <<Non perdonerò ma questo paese per la sua sporcizia>>, brontolava Horace Walpole, ed era uno che aveva viaggiato in lungo e in largo. L'accesso a Versailles, conveniva l'inglese, era magnifico, con le sue larghe strade ombreggiate da alberi maestosi. Ma lo squallore dell'interno era indicibile. 

Antonietta con la contessa d'Artois, sua cognata, andò a far visita a Vittoria. Lasciato l'appartamento di quest'ultima, le due donne si fermarono in un cortile per guardare una meridiana. Da una finestra del secondo piano qualcuno vuotò nel cortile un secchio d'acqua di scolo, e le due principesse rimasero inzuppate. Forse non si trattava di un incidente, perché la finestra era una di quelle dell'appartamento di madame Du Barry e le domestiche di costei non amavano certo la delfina. Più probabilmente, però, si trattava di uno dei molti incidenti del genere, assolutamente privo d'intenzione e troppo comune per essere registrato. 

In tutto il castello d Versailles c'erano cani e gatti, molti dei quali selvatici. Abbiamo già parlato della confusione e della sporcizia causata dai cani di Antonietta. Ma anche Luigi teneva dei cani, e nella principale sala da ricevimento di Fontainebleau aveva un grande e spazioso canile. Si trattava di un vero e proprio palazzo in miniatura, costruito in legno di quercia dipinto di bianco con pilastri e modanature dorate, e ddecorato con ramoscelli fioriti dipinti. 

Madame de Guéménée, favorita di Antonietta e governante di Clotilde ed Elisabetta, sorelle di Luigi, era sempre accompagnata da un gran numero di cagnolini. <<Tributava loro una sorta di adorazione>>, riferì Mercy a Maria Teresa, <<e fingeva per loro mezzo, di tenersi in comunicazione col mondo degli spiriti.>>


Nel palazzo potevano entrare praticamente tutti. Si faceva qualche tentativo di tenerne fuori gli individui che in tempi recenti erano stati affetti da vaiolo, ma a chiunque altro era consentito di entrare. L'unico requisito era che gli uomini avessero un cappello e spadino, cose che si potevano prendere in affitto dal portiere. Per gli eleganti saloni e per i lunghi corridoi vagabondavano parigini con le scarpe infangate, ammirando gli arredamenti e gli oggetti d'arte, toccandoli, facendone oggetto delle loro brame. Benché dappertutto ci fossero dei servitori, le cronache del tempo non hanno menzione di guardie che sorvegliassero i visitatori di passaggio per impedire che rubassero piccoli tesori o ritagliassero dai tendaggi tasselli dorati da vendere quando fossero tornati a casa. 

La sera el matrimonio del conte d'Artois, per festeggiare l'avvenimento si tenne un ballo in maschera. Al ballo fu ammesso un certo numero di ladri <<riccamente abbligliati>>, i quali alleggerirono gli invitati di orologi e borse, tabacchiere e gioielli. Ad Antonietta, nel 1771, venne rubata la fede nunziale (anche se essa credette di averla perduta lavandosi le mani) da una donna che se ne servì per fare <<stregonerie intese a impedirle di avere figli>>. Molti anni dopo la ladra confessò la sua azione malevola al parroco della Madeleine de la Cité e il sacerdote mandò la fede nunziale al maarito di Madame Campan con un biglietto di spegazione. 

A Versailless ambasciatori e altri dignitari di paesi stranieri portarono i loro seguiti, completi dii schiavi, domestici civili e animali da diletto esotici. Al palazzo, per esibirsi, si recava gente di spettacolo di ogni sorta, gli attori e glie secutori musicali dei teatri parigini ai domatori d'orsi e agli addestratori di altri animali e che si  guadagnavano la vita sui boulevards. Perfino le squadre di forzati, dirette a Brest ove arebbero state icatenate ai remi delle navi, venivano fatte passare per la cittadina di Versailles, anche se il loro itinerario venne finalmente cambaito durante il regno di Luigi XVI perchè il sovrano, troppo tenero di cuore, ne fceva liberare troppi. 

Un folle del genere era un aristocratico pallido e magro di Bordeaux, uomo il cui <<aspetto sinistro>>, scrisse Madame Campan, <<causava le sensazioni più scgredevoli>>. Si chiamava Castelnaux, ma in genere era designato scherzosamente col nomignolo di <<l'amante della regina>>, perché tale sosteneva di essere. Taciturano, privo d'umorismo e vagamente minaccioso, Castelnaux seguiva Antonietta come un'ombra dovunque lei andasse, e poi dieci anni e più essa tollerò la presenza di quell'uomo ai margini della sua vita. Poiché il suo status di nobile gli dava accesso a corte, egli era in grado di partecipare a ogni cerimonia durante il giorno e la sera, e ara immancabilmente presente andava a sedersi quanto più poossibile vicino alla regina quando costei assisteva alla messa, la fissava per tutta la durata del pranzo, si metteva direttamente dinanzi ai suoi occhi, in modo da costringerlo a guardarlo durante le partite a carte della sera e non distoglieva mai lo sguardo dal suo volto. Quando Antonietta andava a teatro, egli era presente a teatro, quando essa rimaneva al Petit Trianon c'era anche lui, intento a passeggiare incessantemente per il giardino, sulla riva del fossato. Non lo inducevano a star kontano né la pioggia, né i venti gelidi, né il canto più soffocante; come una fantomatica sentinella, egli era sempre al suo posto, al fianco della regina. Quando la corte si trasferiva a Fontainebleau o a Marly, Castelnaux anticipava sempre il trasferimento, in modo da potersi trovare sul posto in attesa  di Antonietta appena questa fosse arrivata. 

Dopo molti anni <<l'amante della regina>> cessò di essere argomento di scherzi e divenne, sempre per usare un'espressione di Madame Campan, <<un intollerabile fastidio>>. Antonietta non volle che qualcuno gli ponesse un freno, ma parlò con un celebre avvocato per vedere se questi poteva persuadere il folle aveva convenuto che, <<siccome la sua presenza le era sgradevole, egli si sarebbe ritirato nella sua provincia>>. La regina ne fu sollevata, ma per breve tempo. La regine ne fu sollevata, ma per breve tempo. Mezz'ora dopo Castelnaux era di nuovo a palazzo e aveva chiesto udienza a Madame Campan. <<E' venuto a dirmi>>, scrisse Madame Campan, <<che ritirava la sua presenza, che non aveva sufficiente padronanza di sé per rinunciare a vedere la regina quanto più spesso possibile.>>

Prostitute adescavano clienti nei cortili e nelle stanze aperte al pubblico, sapendo che sarebbero state tollerate finché fossero rimaste fuori degli appartamenti dei sovrani. Bambini cenciosi e scalzi, molti dei quali privi di una fissa dimora, correvano su e giù per le grandi scale portando messaggi, rubavano il cibo nelle cucine e ogni volta che potevano schiacciavano pisolini nelle stalle e nelle dépendances. Ex servitori affamati, poveri in canna e tutt'altro che puliti, formavano crocchi, sperando di venirre a sapere che c'erano possibilità di assunzione e guardando con ividia i loro colleghi più fortunati che indossavano la livrea del re. Con questa gente continuamente fra i piedi, la pulizia era impossibile, e in ogni caso i servitori erano più preoccupati dalle loro prerogative che dele necessità di eseguire compiti umili come spazzare e pulire. 

Con le sue centianai di servitori, era un meccanismo poco maneggevole e inefficiente, che a volte si inceppava del tutto. In una certa occasione la corte stava procedendo al trasferimento da Choisy a Versailles. Il trasferimento non interferì con la routine delle partite di caccia del re, che procedettero abitualmente. Il trasferimento non interferì con la routine delle partite di caccia del re, che procedettero abituualmente. Antonietta anzi decise di seguire una delle partite di caccia in carrozza, con le tre zie. Quando la carrozza arrivò a un fiume, tuttavia, le zie cominciarono a temere che potesse rovesciarsi, e insistettero per scendere benché si trovassero in <<un luogo estremamente paludoso>>. Scese anche Antonietta, e intraprese la lunga marcia a piedi neecessaria per far ritorno a Choisy. Non c'erano servitori disponibiili per metter in salvo e le sue zie - tutti i domestici erano andati avanti, diretti a Versailles - e la camminata  risultò lunga, tanto che Antonietta si inzuppò tutta. Perse nel fango una delle sue scarpine, e tutti gli indumenti le si infradiciariono addosso. Fortunatamente riuscì ad asciugarsi stando vicina a un focolare acceso, ma in tal modo si bruciacchiò gli abiti. Infine riprese il viaggio e arrivò a Versailles, ove sperava che i domestici avessero preparato il palazzo per il ritorno della corte. 






Per il cortigiano la scomodità era uno modo di vita. Vivendo in alloggi scomodi e bui, restando in servizio per orari prolungati, destreggiandosi continuamente per conquistare un pò di spazio nei saloni sovraffollati, in mezzo a <<una folla terrificante, che fa un baccano infernale>>, come scrisse uno di loro, gli abitanti di Versailles soffrivano per il loro status. Non osavano rilassarsi, mostrarsi stanchi o far capire quanto si annoiavano. Era una necessità apparire gradevole, sorridere quando le scarpine di broccato facevano male ai piedi perché erano troppo strette, quando la pelle prudeva a morte, quando una rivale aveva la meglio nella scalata al favore dei grandi. 

Il fine di ogni cortigiano era di accumulare cariche, privilegi e in ultima analisi, ricchezze. Ma il prezzo da pagare era elevato. Il gentiluomo o la dama di corte doveva starsene in piedi, per ore, nell'oeil-de-boeuf, l'<<occhio di bue>>, cioè la stanza accanto alla camera da letto del re, illuminata da una sola finestra fi forma rotonda, in attesa di essere notato, di essere ammesso nel santtuario o di udire  di sfuggita qualche pettegolezzo o qualche notizia che potesse aiutarlo o aiutarla a far carriera. Doveva partecipare a spettacoli tediosi. Per un certo ballo tenutosi a Versailles i cortigiani dovettero imparare una complessa serie di movimenti coreografici che servivano a formare le lettere del nome di Antonietta. Il cortigiano doveva adulare, persuadere, blandire i suoi superiori, lottando nello stesso tempo per tenere al loro posto i suoi inferiori. 

Coloro che non avevno il privilegio di pranzare alla tavola del re e della regina o a quella dei grandi personaggi di corte andavano al Grand Commun, l'immensa sala da pranzo comune del palazzo, ove si poteva godere di un buon cibo, e in compagnia altrettanto buona. Il mondo dei frequentatori del Grand Commun era gradevole e stimolante. In quella casa si incontravano artisti, studiosi, scrittori. Si parlava incessantemente di politica e di affari correnti, sii discuteva sulle questioni del momento. Si ordivano intrighi. si attizzavano ambizioni. Si dava libero sfogo alle lamentele. <<Era di moda lagnarsi di tutto>>, scrisse la contessa de la Tour du Pin. <<C'era chi si annoiava, o era stufo di prestare servizio a corte. Gli ufficiali della Guardia del Corpo. che quando erano in servizio alloggiavano nel castello, lamentavano di essere costretti a indossare l'uniforme per tutta la giornata.>>

Dame e gentiluomini di corte si lagnavano delle spese che dovevano sostenere per abigliarsi secondo la moda del momento; si lagnavano, per esempio, del costo delle parrucche (le migliori erano quelle fatte con i capelli umani, la cui qualità era di gran lunga migliore rispetto a quelle fatte con crine di cavallo o con pelo di capra), delle alte tariffe dei migliori acconciatori, delle interminabili prove degli abiti da donna e da uomo, delle sempre muttevoli esigenze della moda. A quanto pareva, nessuno aveva mai abbastanza denaro; i debiti salivano, eppure era pericoloso fare economia, perché il cortigiano che spendeva di più anche se doveva trattarsi di denaro preso in prestito. aveva la migliore possibilittà di recuperare quanto aveva speso una volta che fosse riuscito a conquistare la posizione di favore perseguita. 

Negli ultimi anni del regno di Luigi XV una ggraziosa giovinetta di quindici o sedici anni riuscì a raggirare un buon numero di persone facendo credere di essere l'amante del re. Si ignora come le fosse venuta l'idea, e se nella truffa fosse coinvolto qualcuno oltre a lei; quello che è ciaro però, è che seducendo alcuni dei paggi del sovrano essa riuscì a ottenere libertà di accesso all'appartamento reale. Una volta conquistata questa libertà d'accesso, riuscì a convincere la gente di avere col re i rapporti più intimi, e di poter esercitare su di lui la propria influenza a suo beneficio. Avidi di ulteriori vantaggi, per quanto limitati, i cortigiani furono più che pronti a pagare per assicurarsi la sua influenza.

In breve tempo la ragazza accumulò qualcosa come sessantamila franchi, e inoltre molte agevolazioni e molti favori. Fece chiamare un chirurgo perché assistesse una donna che aveva le doglie, convincednolo che avrebbe aiutato quella donna a mettere al mondo un bastardo del re, e che quindi avrebbe dovuto considerarsi onorato. Indubbiamente nello stesso modo imbrogliò commercianti e sarti. Erano le apparenze quelle che contavano, e la ragazza, stando alle apparenze, era indubbiamente quella che sosteneva di essere. Dopo tutto, la passione del sovrano per le belle fanciulle era ben conosciuta e la ragazza in questione bella era molto e inoltre, stando a Madame Campan, che la conobbe, teneva un comportamento così modesto che nessuno la sospettava di disonestà. 

Astuta sino alla fine, cercò di salvarsi dal castigo ricorrendo a un'altra menzogna fabbricata di sana pianta. Alla tenera età di quattordici anni, disse, era stata sedotta da un prete, il quale l'aveva costretta ad atteggiarsi ada amante del re per arricchirsi egli stesso. Il sacerdote venne sospeso dagli uffici divini, ma poi riuscì a dimostrare la propria innocenza. La ragazza fu mandata in un primo tempo alla Bastiglia, poi in un altro carcere. 

Cahouette de Villars, che Madame Campan descrisse in seguito come una donna <<molto irregolare nel comportamento, e di carattere assai intrigante>>, si atteggiò anch'essa ad amante di Luigi XV e, dopo la morte del sovrano, ad amica intima della regina Antonietta. Il marito di Cahouette era un tesoriere del re, ma siccome non aveva il diritto di entrare nell'appartamento della sovrana, sua moglie di diede da fare per diventare l'amante di uno che questo diritto lo aveva: Gabirel de Sainte-Charles, intendente delle finanze del re. 

Essendo discretamente brava come pittrice, escogitò un piano per accostare direttamente Antonietta, facendole il ritratto. Copiò un ritratto eseguito da un altro pittore e lo presentò al marito di Madame Campan, che era il bibliotecario della regina e uno dei suoi segretari, ma egli, <<conoscendo il comportamento della donna>>, si rifiutò di consegnarlo ad Antonietta. 

Cahouette si impadronì quindi di alcuni documenti firmati da Antonietta, e mparò a riprodurre la sua esecrabile e particolarissima grafia. Più abile come falsaria di quanto fosse stata come pittrice, la donna scrisse a se stessa un certo numero di lettere e biglietti presuntamente firmati dalla regina, e li riempì di allusioni personali e vezzi familiari. Mostrò quindi le missive ad amici e conoscenti, sostenendo che la sua amicizia con Antonietta era un <<grande segreto>> proprio come lo era stata la sua relazione col defunto sovrano. Naturalmente la reputazione della donna aumentò, facendola sembrare una che godesse delle confidenze intime della regina. 

Cahouette fabbricò lettere false in cui la regina la pregava di acquistare gioielli e altri oggetti costosi presso negozianti di Parigi; alla donna bastava mostrare le suddette lettere ai gioiellieri e ai commercianti perché le fosse consegnato tutto quanto desiderava,e , inoltre, perché  le fosse concesso credito illimitato. Non soddisfatta di ciò, Cahouette finì per accostare il Fermier-Gènéral, M. Béranger, il quale controllava gli introiti tributari, e mostrargli una lettera contraffatta in cui Antonietta gli chiedeva di procurarle duecentomila franchi, somma di cui aveva un estremo bisogno, ma che era riiluttante a chiedere al consorte. 

M. Béranger, azzardò qualche domanda, con molta discrezione perché c'era sempre la poossibilità che la richiesta di Antonietta fosse stata autentica, e che rivelando il segreto della regina egli mettesse in pericolo se stesso. Quanto venne a spare in risposta a quelle prime domande gli diede però coraggio, e infine egli si rivolse alla polizia di Parigi. Questa riuscì a rintracciare i conti non pagati di Cahouette, gli oggetti preziosi da lei impegnati, e a verificare l'infondatezza delle sue vanterie. L'imbrogliona venne smascherata e incarcerata, e il suo povero marito fu costretto a rimborsare i duecentomila franchi. Le lettere falsificate, trovate fra gli effetti, personali di Cahouette, furono mandate ad Antonietta. Questa e Madame Campan le esaminarono una per una e contrastarono, con sgomento, che la falsificazione era notevolmente persuasiva.

La contess di Walburg-Fohberg, una sveva sposata con un dignitario di corte di secondaria importanza, fece credere di essere in rapporti d'intimità con parecchi personaggi, dal ministro degli Affari esteri al primo scudiere della regina. Anch'essa disponeva di lettere per accreitare le proprie asserzioni, e le sue vittime erano fin troppo disposte a credere che le lettere erano autentiche. Nelle stanze prese in affitto all'Hotel Fortisson, un albergo della cittadina di Versailles, la contessa intratteneva una corte in miniatura tutta sua, ricevendoin visita postulanti che la pagavano affinché perorasse le loro ragioni presso i grandi. 


Madame Campan

La contessa, finse di avere il diritto di partecipare con la sua carrozza a un corteo reale. Venne riconosciuta e interrogata, e un tenente della polizia aprì un'inchiesta sul suo comportamento. Ben presto tutto venne in luce. La contessa, però era stata abbastanza scaltra da non lasciarsi dietro nulla d'incriminante. La polizia aveva a sua disposizione soltanto la parola delle sue vittime secondo cui essa aveva preso il denaro da loro; la contessa, invece, sosteneva di aver fatto uso della propria influenza a beneficio delle suddette vittime per pura cortesia, e che nessuna somma di denaro era passata da una mano all'altra. Era evasiva, la contessa di Walburg-Fohberg conosceva un gran numero di segreti, ed era in grado di mettere in difficoltà alcuni personaggi molto importanti. 

Queste imposture riuscivano non solo perché i cortigiani e aspiranti cortigiani erano creduloni, ma anche perché volevano disperatamente aver successo. La mitologia della corte era per alcuni più forte della realtà di fatto, e imponeva che gli ambiziosi, coloro che lavoravano sodo, coloro che godevano di buone relazioni avrebbero finito per conquistare cariche e ricchezze. Versailles esercitava un incantesimo su coloro che ci vivevano, ci prestavano servizio e la visitavano.

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